Discorso
30 gennaio 2003

"L'Europa che vogliamo"<br>Maison de l'Amérique latine - PARIS<br>

Giornata Internazionale del 31 gennaio 2003


Testo in francese"L'EUROPE QUE NOUS VOULONS"

Cari compagni, cari amici,

è difficile parlare del futuro dell’Europa senza guardare, innanzitutto, al passaggio cruciale e drammatico delle relazioni internazionali e della storia mondiale.

Per molti anni abbiamo subito il dominio del pensiero unico neoliberista e la globalizzazione è stata accompagnata da una ideologia che ha predicato la fine della politica, alimentando l’illusione che il mercato e l’economia ci consegnassero il migliore dei mondi possibile.

Con l’11 settembre del 2001 lo scenario è cambiato profondamente. Il terrorismo internazionale ha reso chiaro anche ai cittadini dei paesi più ricchi che una globalizzazione senza governo produce conflitti e contraddizioni gravissime. E’ cresciuta così l’incertezza sulle prospettive dell’economia, ma soprattutto la paura verso il futuro.

La crisi neoliberista non ha prodotto, dunque, soltanto speranze e nuove opportunità come testimonia la vittoria di Lula in Brasile, ma anche il pericolo di un ritorno verso il nazionalismo e la chiusura culturale o verso l’illusione tragica che le contraddizioni e i problemi possano essere dominati attraverso il ricorso indiscriminato alla guerra.

C’è, invece, un bisogno reale di politica, di cultura, di legalità internazionale che non può essere riempito solo dall’uso della forza, e meno che mai dalla politica di potenza di un unico paese, per quanto potente come gli Stati Uniti.

Il progetto socialista per l’Europa deve prendere le mosse da questo scenario. Abbiamo bisogno di un’Europa più forte, di un’Europa politica, di un vero attore globale sulla scena internazionale.

Ne ha bisogno il mondo e non soltanto gli europei.

L’Italia e la sinistra italiana sono sempre stati favorevoli all’allargamento dell’Unione, a quel processo di vera e propria riunificazione democratica dell’Europa che è il compimento necessario della grande svolta avviata nel 1989.

Allo stesso tempo l’allargamento deve accompagnarsi ad un rafforzamento delle istituzioni comuni, pena il rischio tante volte sottolineato di un’Europa ridotta ad area di libero scambio.

Per questo è essenziale l’esito della Convezione; la possibilità che l’unità europea tragga nuovo slancio e legittimità da un vero e proprio “patto costituzionale” e dalla creazione di istituzioni più robuste e legittimate.

Non mi pare che sinora l’esito della Convenzione sia all’altezza di questa necessità. La stessa proposta franco-tedesca di doppia presidenza, se risponde all’esigenza di dare maggiore stabilità al funzionamento del Consiglio, rischia tuttavia di creare un dualismo e di indebolire il ruolo della Commissione.

Insomma, anche se è chiaro che le istituzioni europee continueranno a rappresentare un equilibrio fra strutture comuni e strutture intergovernative, io ritengo che i socialisti dovrebbero con maggiore coraggio proporre di spostare l’equilibrio a favore delle istituzioni comunitarie: il Parlamento e la Commissione Europea.

Il movimento socialista per un secolo ha legato il suo destino a quello degli Stati nazionali e bisogna riconoscere che per un lungo periodo da sinistra vi è stato un atteggiamento diffidente nei confronti dell’integrazione politica dell’Europa.

Nei confronti dell’Europa ha prevalso tra noi una sorta di “sì, ma”; quasi la preoccupazione che l’integrazione politica e il mercato unico potessero limitare le conquiste sociali di ogni singolo paese.

Oggi questo atteggiamento va superato, dal momento che solo una forte integrazione politica può consentirci di difendere i valori della pace e della sicurezza, del progresso economico e dei diritti sociali.

Basta pensare alla crisi Irakena per rendersi conto di quanto vi sia bisogno oggi di un’Europa integrata, forte, che conta di più sulla scena mondiale.

Così come è sempre più evidente che le grandi conquiste del mercato e della moneta unica hanno bisogno di un coordinamento delle politiche economiche e fiscali, di un modello sociale e di una integrazione dei programmi di investimento nei settori dell’innovazione e delle nuove tecnologie. Il rischio altrimenti è un arretramento anche rispetto al livello di integrazione realizzato fin qui.

Per tutte queste ragioni l’unità politica dell’Europa deve rappresentare non solo un traguardo, ma uno degli ideali del socialismo moderno. Una bandiera per chi pensa che la globalizzazione della finanza e dell’economia, senza una “politica globale”, accentua le ingiustizie e le disuguaglianze, genera insicurezza ed ansia per il proprio futuro.

In questa prospettiva è possibile e necessario sviluppare il dialogo con altre correnti progressiste in Europa, superando ogni pretesa di autosufficienza politica e culturale ed evitando il rischio di un isolamento del movimento socialista.

Giuliano Amato ed io abbiamo posto questo problema in una lettera aperta al PSE.

Forse – come ha scritto Pierre Moscovici – quel testo ha dato l’impressione che noi volessimo “italianizzare” il paesaggio politico europeo, quasi proiettando in una dimensione europea l’esperienza italiana dell’Ulivo con le sue opportunità e i suoi problemi.

Ma non è così. Sappiamo bene che esistono realtà molto diverse.

Tuttavia negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crisi del tradizionale “centrismo europeo”, con la trasformazione del PPE in una formazione più chiaramente conservatrice, una sorta di rassemblement di partiti della destra.

Dall’altra parte, nel corso dell’ultimo decennio, lo stesso Partito del Socialismo Europeo ha cambiato in parte il suo profilo accogliendo nuove forze dopo la crisi del comunismo e in relazione con il processo di allargamento dell’Unione.

In diversi paesi europei avvertiamo la possibilità di estendere le nostre alleanze verso forze liberaldemocratiche, di ispirazione cristiana e religiosa, ambientaliste. Verso i nuovi movimenti della società civile, a partire da quello dei giovani che criticano la globalizzazione.

Allo stesso tempo abbiamo misurato i danni di una eccessiva frammentazione politica nell’area di sinistra e di centrosinistra come è apparso chiaro nelle ultime elezioni in Italia e in Francia. Da queste considerazioni abbiamo preso le mosse per indicare la prospettiva di una nuova casa per tutti i riformismi europei; una nuova famiglia politica in grado di unire energie diverse intorno a un progetto di rinnovamento sociale e di unità politica dell’Europa.

Capisco che possa oggi sembrare una fuga in avanti nel momento in cui incontriamo difficoltà a fare vivere e funzionare questo nostro stesso PSE. Ma il senso della nostra posizione è quello di avviare un processo politico, non di imporre una formula organizzativa che certamente oggi non sarebbe matura.

Ciò non toglie che il processo di aggregazione delle forze progressiste può e deve essere spinto in avanti con coraggio, spirito unitario e apertura culturale. Non vi è in questo alcuna rinuncia alla funzione ideale del socialismo europeo, ma al contrario il rilancio della sua vocazione più autentica: la vocazione all’unità e al rinnovamento sociale.

Spetta quindi a noi – al Partito del Socialismo Europeo – farci promotori, con maggiore apertura e coraggio, del progetto che rappresenterà una delle sfide fondamentali dei prossimi anni.

Vi ringrazio.

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