Discorso
7 ottobre 2003

Celebrazione del 50mo anniversario del Partito Socialista Europeo

Il discorso di Massimo D'alema


Carissime amiche ed amici,

Cinquant'anni di storia di una forza come quella dei socialisti, che ha costruito l'Europa. Giacché sarebbe difficile immaginare le istituzioni europee, la civiltà europea, senza l'impronta delle lotte e dei valori degli ideali socialisti. Cinquant'anni avrebbero potuto essere l'occasione di una celebrazione ma questa non è una celebrazione, è un dibattito politico. Ed è giusto che sia cosi' alla vigilia dell'allargamento dell'Unione europea, nel momento in cui inizia la Conferenza intergovernativa sulla Costituzione europea, in una situazione cosi' drammatica del mondo dopo la guerra in Iraq e nel momento in cui s'inasprisce il conflitto in Medio Oriente. Dunque siamo di fronte a nuove sfide, ed è giusto discutere insieme di come l'Europa e il Socialismo europeo possono affrontarle e vincerle.
Mi è capitato, qualche settimana fa, di ascoltare a Londra, un bellissimo discorso di Bill Clinton. L'ex Presidente degli Stati Uniti rifletteva sull'esperienza al governo dei Democratici americani e delle sinistre in Europa. Pochi anni fa il centro sinistra governava gli Stati Uniti e gran parte dei paesi europei. E, in un modo che non ha precedenti, vi era un dialogo fra di noi e uno sforzo di collaborazione. Perché abbiamo perso? si chiedeva Bill Clinton. Non ovunque fortunatamente, ma in molti di quei paesi, tra cui l'Italia. Non per i risultati della nostra politica interna, che sono stati in generale, positivi. Ma perché noi abbiamo perduto l'occasione di influenzare la globalizzazione. Avevano ragione i nostri critici, egli ha detto, noi abbiamo speso molte parole ma non siamo stati capaci di riparare alle ingiustizie, di ripartire le opportunità. E cosi' abbiamo governato ma non erano al governo le nostre idee, abbiamo governato in un tempo in cui il mondo era dominato dalla cultura e dai valori del neoliberismo. Abbiamo governato in un tempo in cui era generale la convinzione che la politica doveva fare un passo indietro, che si dovesse lasciar fare al mercato, perché il mercato ci avrebbe dato il migliore dei mondi possibili. E stato scritto addirittura "la politica non ha altro compito che eseguire i compiti che l'economia le assegna". Oggi, io credo, il mondo sta cambiando. Questa illusione neoliberista è naufragata tragicamente l'11 settembre di due anni fa, quando tutto il mondo si è reso conto che non soltanto il mercato non ci ha dato il migliore dei mondi possibili ma che senza la politica si moltiplicano conflitti, pericoli, minacce terribili sopra l'intera umanità. Ora comincia un'altra epoca. La destra ha saputo interpretare le paure del mondo, anche le paure dell'Europa, la paura del terrorismo, la paura dell'immigrazione, la paura di perdita d'identità, di privilegi, la paura della concorrenza dei paesi emergenti. Ma non ha saputo e non sa dare le risposte. Puo' aprirsi dunque una nuova stagione, una stagione democratica, progressista, riformista, socialista. A due condizioni, io credo, e voglio esporle con molta chiarezza.
Una nuova stagione non sarà una somma di vicende nazionali. Torneremo a vincere in tutti i paesi europei se saremo capaci di interpretare un processo politico europeo, se avremo cioè una visione dello sviluppo e del ruolo dell'Europa e non soltanto di ciascuno dei nostri paesi. Dunque la prima condizione è che i Socialisti prendano nelle loro mani, con assai maggiore coraggio e determinazione, la bandiera dell'unità politica dell'Europa. L'unità politica dell'Europa è l'esperimento più avanzato nel mondo di governo democratico della globalizzazione. Non è necessaria soltanto per gli europei ma è la condizione per un diverso equilibrio mondiale. Le istituzioni sono arbitri e le istituzioni mondiali funzioneranno se vi sono più giocatori. Nei giochi dove c'è un solo giocatore, l'arbitro non serve. E abbiamo bisogno non di contrapporci agli Stati Uniti ma di affiancare agli Stati Uniti altri giocatori globali. Un'Europa più forte, condizione per la pace, condizione per un equilibrio mondiale non dominato da una sola potenza. Un'Europa più forte è condizione per la crescita. Perché senza una politica degli investimenti europei, sul terreno dell'innovazione, della ricerca, della formazione, una crescita basata sulla conoscenza e su una più elevata qualità dello sviluppo, non vi sarà. E nessuno dei nostri paesi è in grado, da solo, di affrontare questa sfida. Un'Europa più forte per la difesa dei diritti individuali e collettivi; non c'è nessuna possibilità di difesa del nostro sistema di sicurezza sociale senza nuove regole internazionali. I diritti sociali, o diventano diritti universali, o cesseranno di esistere, anche laddove essi oggi vi sono, incalzati dalla esigenza della competizione e della competitività internazionale. C'è dunque un grande processo politico da portare avanti con coraggio, c'è un deficit democratico da colmare.
Un grande filosofo tedesco, Jürgen Habermas, grande interprete del nostro tempo, ha scritto cose molto interessanti sull'unità europea. Egli ha scritto che il deficit democratico puo' essere superato solo se si crea una sfera pubblica europea, nella quale si radichi il processo democratico. Una sfera pubblica europea. Questo significa, dice sempre Habermas, che l'asse della politica dovrà spostarsi verso Strasburgo e verso Bruxelles, cioè verso le istituzioni comuni. Fino a quando in Europa sarà dominante l'idea che la politica risiede nelle capitali degli Stati e che nelle istituzioni europee c'è una burocrazia necessaria ma spesso fastidiosa, fino a quando prevarrà questa idea che la politica è nazionale, noi avremo una politica debole. E io so quanto questa idea sia ancora forte anche nel campo socialista. Dobbiamo procedere verso un sistema democratico multivello, dice Habermas, il che significa cedere sovranità alle istituzioni europee. Cedere sovranità è un'espressione che suona terribile in alcuni paesi europei, vogliamo usarne una meno urtante? Condividere sovranità. Gli Stati nazionali devono comprendere che vi sono settori nei quali la sovranità nazionale è una finzione e che l'esercizio della sovranità richiede il coraggio di compartirla con altri paesi, in una dimensione federale. Questo significa guardare alla Conferenza intergovernativa con spirito esigente. La bozza scritta dalla Convenzione è una base importante, ma io temo che se non ci sarà un'azione politica per migliorare quella bozza, per estendere il voto a maggioranza, per limitare la dimensione intergovernativa, per rafforzare le istituzioni comuni, noi rischiamo alla fine di avere un risultato peggiore rispetto alla bozza che è stata presentata. E i socialisti sono in campo per chiedere di più, più istituzioni europee, più Europa. Io lo vorrei e ritengo che sarebbe giusto.
La seconda condizione è quella, direi, di allargare il campo. C'è una radicalizzazione del confronto politico in Europa che scuote le vecchie famiglie politiche; c'è una crisi del vecchio centrismo, democristiano e popolare. Che cos'è oggi il Partito Popolare Europeo se non il luogo di raccolta di forze conservatrici, di destra; ho visto che il Signor Poettering ha aperto la porta anche a Fini. Che cosa ha a che vedere questo con il vecchio centrismo democristiano? Questa deriva a destra delle forze moderate europee crea malessere in ambienti liberaldemocratici, in forze di ispirazione cristiana, che non si riconoscono in questo spostamento a destra dell'asse politico dell'Europa. Io non credo che si tratti soltanto di un caso italiano, anche se certo in Italia questo problema si pone con particolare significato.
A sinistra sono fioriti nuovi movimenti, tra i giovani, nell'opinione pubblica, critici della globalizzazione che interrogano i socialisti, la loro cultura, le loro idee. Insomma, io credo che noi dovremmo fare di più per riunire i progressisti, i riformisti, i democratici, che forse si potrebbe immaginare una sorta di Epinay europea nella quale costruire una coalizione delle forze che vogliono contrastare la destra e rimettere l'Europa in cammino sulla strada del progresso della giustizia sociale. E non solo perché questa è una condizione per vincere, creare una coalizione vincente all'interno dei nostri paesi e in Europa, ma perché io credo questo sia anche un modo di arricchire la nostra cultura, le notre idee, il nostro programma. Dunque due grandi compiti nuovi: unire l'Europa sul piano della politica oltre il mercato e la moneta, unire i progressisiti europei. Perché il nostro continente unito sia protagonista della lotta per un mondo migliore (per usare una vecchia espressione, ma l'ho sentita poco fa anche nelle parole di Jacques Delors), per una globalizzazione più giusta, grande obiettivo socialista, obiettivo che puo' divenire un obiettivo dell'Europa intera.

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