Intervista
6 marzo 2005

D’Alema: a Baghdad un dramma, ma niente antiamericanismo.

Il presidente dei Democratici di Sinistra resta dell’idea di aprire un confronto tra Usa e Europa.

da La Stampa


"In Iraq c’è la guerra. Quel paese è in stato di assedio, occupato militarmente da un esercito che ogni giorno conta delle perdite ed ogni giorno regisce, a volte in modo indiscriminato. Questa è la verità, il resto è propaganda".

Massimo D’Alema è colpito dal tragico epilogo della liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. Ma il presidente dei democratici di sinistra non rinuncia a ragionare a mente fredda, come è solito fare, perchè «la politica non può permettersi di giudicare e prendere decisioni sulla base di un’onda emotiva». E spiega che le idee sue e del centrosinistra sugli Stati Uniti, sulla possibilità di un nuovo rapporto tra l’amministrazione Bush e l’Unione europea, non sono cambiate e non cambiano.


Presidente, come giudica l’operato del governo in questa vicenda?
Non si capisce bene che tipo di coordinamento ci sia stato con gli americani ma, detto questo, la cautela e la discrezione con la quale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e i servizi segreti hanno gestito la trattativa sono state positive. Buona parte del merito della liberazione di Giuliana Sgrena va proprio ai nostri servizi che hanno lavorato con efficacia e lealtà nei confronti dello Stato. Dello Stato, e non di questo o quel governo. Diversamente da quel che fanno certe televisioni, lo spettacolo andato in onda l’altra sera è stato ignobile...

Si riferisce all'"occultamento" dello scontro a fuoco e della morte di Nicola Calipari da parte del Tg1?
Calipari ha salvato la vita di Giuliana Sgrena due volte, prima liberandola e poi proteggendola dal “fuoco amico”. Il suo sacrificio è stato nascosto, privilegiando il festeggiamento propagandistico per favorire il governo. Il Tg1 è stato vergognoso.

Lei qualche settimana fa ha sostenuto, con ampiezza di argomenti, la necessità e la possibilità di aprire un confronto con l’amministrazione Bush e di un "new deal" nei rapporti tra Europa e Stati Uniti. Dopo questa tragedia ha cambiato idea?
Ma no, che cosa c’entra? Innanzitutto, quando io dico che bisogna aprire una nuova fase nei rapporti con Gli Stati Uniti non significa che ciò debba avvenire sulla base di una nostra autocritica. Io penso che sulla guerra in Iraq Bush avesse torto e che la situazione laggiù confermi il costo umano enorme del conflitto. Alla vigilia del viaggio del presidente americano in Europa ho apprezzato però i toni nuovi; ho registrato il fatto che il tema della guerra preventiva, finora centrale nella politica dell’amministrazione americana, sia stato sostanzialmente abbandonato; come è stata accantonata l’idea che il sistema tradizionale delle alleanze possa essere sostituito dalle coalizioni variabili dei paesi “willing”. D’altra parte, l’Europa, pur senza recriminare o cambiare posizione, non può essere disinteressata a un esito positivo della crisi mediorientale, a far progredire la stabilizzazione, la democrazia e la pace in quella regione. Questa è la base del dialogo. Non vedo alcun motivo per cambiare opinione, su questo, anche in presenza di avvenimenti drammatici come quelli di Baghdad.

Non vede il rischio del risorgere in queste ore di un antiamericanismo emotivo che dalla sinistra radicale, con la richiesta di ritiro immediato dei nostri soldati dall’Iraq, contagi aree più vaste dell’Ulivo?
La vicenda che ha chiuso il rapimento di Giuliana Sgrena è certamente molto grave, tutte le responsabilità vanno accertate e i responsabili puniti. Ma le scelte politiche non possono essere legate a un episodio, nè credo che qualcuno nel centrosinistra voglia assumere un atteggiamento del genere. Questo presunto antiamericanismo mi sembra uno dei tanti casi nei quali alcuni giornali tendono a offrire un’immagine folkloristica della sinistra, come se fossimo ancora negli anni ‘50. Si intervistano personaggi improbabili e si generalizza, "la sinistra dice", "la sinistra pensa". Noi siamo una grande forza di governo, non ci si può dipingere come se fossimo ancora un corteo del ‘68. Siamo molto critici con la politica estera americana, è vero. Ma questo non significa che siamo antiamericani.

Presidente, la liberazione di Giuliana Sgrena e l’uccisione di Nicola Calipari arrivano mentre comincia una dura campagna elettorale...
Sì, la campagna elettorale si annuncia dura. Guardi che cosa avviene sui muri di Roma, tappezzati in una maniera mai vista di manifesti propagandistici di Storace, di Forza Italia, del centrodestra. Io penso che questa sia addirittura una delle ragioni per mandar via l’amministrazione uscente, perchè raramente una “razza padrona” ha dato di sè un’immagine così tracotante e utilizzato un simile dispiegamento di mezzi. Nonostante ciò, ci sentiamo tranquilli perchè siamo molto competitivi, siamo notevolmente più uniti dei nostri avversari e mettiamo in campo un’offerta politica e di governo che è nettamente superiore. L’unico nodo di queste elezioni è quante regioni in più riuscirà a conquistare il centrosinistra.

Quanto peseranno sul voto le difficoltà economiche del paese e quelle dell’azione di governo?
Berlusconi non è più un asset della maggioranza, Berlusconi è il problema. Se si votasse sul governo l’esito per il centrodestra sarebbe catastrofico. Tanto è vero che i presidenti della maggioranza hanno cercato con ogni mezzo di smarcarsi, di far finta di non conoscere il premier. In Puglia, Fitto si è addirittura presentato alla testa di una lista che porta il suo nome, vantandosi del fatto che è composta da personalità di centrosinistra. Il che è assai curioso.

Il presidente del Consiglio sostiene però che questo voto non ha nè un significato nè conseguenze politiche. Tanto che lui non vorrebbe neanche fare campagna elettorale...
Berlusconi cerca soltanto di limitare i danni e di salvare quel che resta del mito della sua invincibilità. Ma sono piccoli espedienti. La realtà dimostra che queste elezioni hanno un forte significato politico e che chi vince le Regionali di solito vince anche le Politiche seguenti.

Lei dice che il centrosinistra è competitivo ovunque, ma non sarebbe stato preferibile stringere un’alleanza con i radicali?
A me è dispiaciuto il modo in cui si è conclusa la vicenda dei radicali. Nonostante avessero impostato male la questione, dando la sensazione di una indifferenza della scelta fra i due schieramenti che ne ha indebolito l’immagine presso l’opinione pubblica, si poteva tentare un recupero. Noi democratici di sinistra ci abbiamo provato fino all’ultimo ed è importante, comunque, che si sia ripreso un dialogo.

Quanto hanno contato le pressioni delle gerarchie ecclesiastiche sui due schieramenti, pressioni che si stanno ancora esercitando per la data del referendum sulla fecondazione? C’è chi vede in questo attivismo una rinascita dell’egemonia cattolica...
Effettivamente, ci sono segnali di un certo attivismo che secondo me dovrebbe esser tenuto più sotto controllo. Non è giusto che una parte della Chiesa dia l’impressione di voler condizionare scelte di natura istituzionale, come quella sulla data del referendum, che devono essere assunte senza il peso di condizionamenti estranei. Più che un ritorno dell’egemonia cattolica però, mi sembra un errore, un segno di nervosismo, il timore di chi immagina una Chiesa assediata. Non è così.

In un quadro di candidature unitarie del centrosinistra, non le pare che la spaccatura di Venezia sia una scelta autolesionista?
Noto che fa notizia la spaccatura in due dell’Ulivo e non invece i quattro candidati su cui si è frammentato il centrodestra. La verità è che in questa situazione il ballottaggio probabilmente sarà proprio tra Casson e Cacciari, e forse anche questo elemento ha favorito lo strappo all’interno dell’Ulivo. Tuttavia devo dire che è sicuramente una vicenda spiacevole e da non prendere sottogamba. E’ vero che alla fine c’è stata la convergenza di gran parte delle forze del centrosinistra sulla figura del sostituto procuratore di Venezia Casson, ma credo che nel momento in cui Massimo Cacciari ha dato la sua disponibilità a partecipare alla corsa per il posto di sindaco, si sarebbe dovuto cogliere questa novità. Perchè dire no a un candidato della Margherita che può apparire inadeguato è comprensibile; dirlo a Cacciari, sinceramente, no.

La candidatura di Casson ripropone il problema dei magistrati che si danno alla politica. Cacciari, che però è parte in causa, sostiene che chi dispone di tante informazioni delicate e riservate dovrebbe astenersene. E un commentatore equilibrato come Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera, suggerisce un "intervallo" temporale tra l’impegno in magistratura e quello politico. Che cosa ne pensa?
Tutta la questione non nasce con la candidatura di Casson, si è posta in tanti altri casi, sia per il centrosinistra sia per il centrodestra, ma, indubbiamente, bisogna riconoscere che il problema esiste. Certo, non possiamo chiedere che vengano rispettate regole che non ci sono. Ma forse è venuto il momento di rifletterci su.

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