Un idealismo temperato.
Il nuovo impegno della politica estera italianaIl modo più utile per impostare una politica estera capace di tutelare realmente gli interessi politici ed economici dell'Italia è di essere consapevoli delle opportunità e dei rischi collegati a questa fase dei processi di globalizzazione. Assistiamo, da una parte, all'emergere in Asia e America latina di nuovi grandi protagonisti. Paesi come Cina, India e Brasile stanno guadagnando posizioni di crescente preminenza, con una rapidità superiore alle previsioni di qualche anno fa. L'asse del potere globale si sta chiaramente spostando, se guardiamo agli indicatori demografici, economici, energetici e il rischio principale per l'insieme dei Paesi europei è di soffrire una progressiva marginalità.
È mia convinzione che la politica estera italiana negli ultimi anni non abbia operato a sufficienza in questa dimensione globale. In questi mesi ci siamo quindi adoperati per allargare gli orizzonti della nostra politica estera e consolidare i rapporti con i Paesi che ho appena citato. E' questa una priorità che risponde anche a fondamentali interessi economici italiani. Pensiamo a quanto sia fondamentale integrare lo sviluppo della nostra economia con lo sviluppo impetuoso dell'economia cinese, che certamente si presenta come una forte sfida sul terreno della competitività, ma anche come una grande opportunità. Ma oltre agli interessi economici vi è anche l'ambizione politica di un Paese come il nostro che, pur non essendo una grande potenza, intende offrire un contributo tangibile alla stabilità, allo sviluppo ed alla pace nel mondo.
Insieme all'ascesa di nuove potenze internazionali siamo confrontati anche con il fenomeno opposto: il vuoto di potere prodotto, soprattutto nel continente africano, dal collasso delle strutture statali in molti Paesi. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla trasformazione dei cosiddetti Stati falliti che, oltre a divenire spesso il luogo di sistematiche violazioni dei piu' elementari diritti umani, spesso costituiscono la base operativa potenziale delle ramificazioni di una criminalità organizzata senza più frontiere o, peggio, in terreno fertile per il prosperare di un terrorismo che ha anch'esso superato ogni demarcazione territoriale. L'impegno internazionale nella gestione delle crisi è il tentativo di spezzare questa deleteria spirale, deleteria non solo per le popolazioni interessate, ma anche per la sicurezza globale.
Compito della politica estera è dunque fare i conti con questa doppia realtà: le opportunità del mondo che cresce, i grandi attori emergenti e, accanto ad essi, i rischi di un mondo che viene marginalizzato. Sviluppo e sicurezza dell'Italia dipenderanno dal modo in cui riusciremo a rispondere a queste doppie pressioni della globalizzazione. Tuttavia, si tratterebbe di un obiettivo irrealistico o velleitario, se fosse perseguito puramente su una scala nazionale, di cui ogni giorno è più evidente l'inadeguatezza. La portata delle sfide che ho appena ricordato impegna innanzitutto la dimensione multilaterale come l'unica realmente adeguata, e ciò per noi significa prima di tutto l'Europa.
RIPARTIRE DALL'EUROPA
Guardare all'Europa, adoperarsi per fare dell'Europa un attore globale, consapevole del bisogno di “governance”, non significa consegnare all'Europa una delega in bianco, non significa abdicare ai propri interessi nazionali in nome di un ideale astratto. Al contrario, significa avere chiaro che l'Unione Europea è lo strumento più adeguato per promuovere gli interessi del Paese, intesi in un'accezione non miope né egoistica, ma neanche aprioristicamente rinunciataria. Egualmente, insistere sulla dimensione europea non significa delegare responsabilità che sono nazionali, ma esercitarle nella consapevolezza che sicurezza e benessere dell'Italia verranno più efficacemente difesi attraverso un'Unione Europea più forte e che funzioni.
In questa fase, l'Unione Europea è come bloccata in una pausa di riflessione seguita al trauma del doppio "no" francese ed olandese al Trattato costituzionale. È necessario rimetterla in marcia. L'Italia puo' e vuole dare un impulso importante in questa direzione. Non serve enumerare ancora una volta le ragioni dello stallo europeo; conviene piuttosto puntare con decisione in avanti, visti i benefici che l'ulteriore sviluppo di questo progetto ha ancora da offrire all'Italia e all'Europa. Illustrarli all'opinione pubblica con pazienza, umiltà e senza paternalismi è il compito di una classe politica, sia italiana, sia europea, che si riconosca nei valori più autentici dell'europeismo. Occorre recuperare al progetto europeo l'indispensabile base di consenso popolare. A tal fine sarà indispensabile il contributo dei parlamenti nazionali e sarà decisivo fare leva sul Parlamento Europeo, di cui ho avuto in questi ultimi anni il privilegio di fare parte. Non meno prezioso sarà il coinvolgimento delle società civile nelle sue varie articolazioni.
L'obiettivo primario del Governo italiano consiste nel salvare per quanto è possibile l'essenza del trattato firmato a Roma il 29 ottobre di due anni fa. Ma comprendiamo anche le difficoltà di quei Paesi nei quali il referendum popolare ne ha bocciato la ratifica. Nella ricerca di soluzioni innovative, accettabili per tutti, il criterio per noi è che quanto più di quel Trattato viene salvaguardato, tanto più queste soluzioni saranno considerate accettabili e positive.
In questo quadro non nascondo le grandi aspettative che abbiamo per la presidenza tedesca dell'Unione del primo semestre del 2007, durante la quale avrà luogo un'importante tornata elettorale in Francia. Ho volutamente fatto riferimento a due Paesi che, come l'Italia, hanno svolto fin dall'inizio nell'Unione un ruolo propulsivo e difficilmente sostituibile. Il nostro e il loro ruolo è ancora cruciale, ma non esaustivo. Se guardiamo alla dimensione di politica estera, di sicurezza e di difesa dell'Unione, resta determinante anche il ruolo della Gran Bretagna; se guardiamo alla politica mediterranea, il ruolo della Spagna è evidentemente cruciale; così come lo è quello di nuovi membri dell'Unione nelle politiche verso l'Est. E gli esempi non si esauriscono qui.
L'Italia ha sostenuto la proposta della Commissione Europea perché nell'occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma gli Stati membri adottino una dichiarazione solenne, con cui ribadire il comune impegno sui principi, i valori e gli obiettivi della costruzione europea, che possa costituire la base per la successiva definizione della questione istituzionale. Una dichiarazione solenne che possa svolgere - questo è l'auspicio - una funzione analoga a quella che svolse la dichiarazione di Messina di 51 anni fa, che aprì la strada al Trattato di Roma.
Altro tema europeo di grande attualità ed importanza è quello dell'allargamento.
La posizione dell'Italia è contraria a lanciare segnali negativi o contraddittori. È evidente che il processo sarà lungo e complesso. E però: se l'Unione intende portare a compimento la sua missione di riconciliazione storica del continente, la porta della "futura adesione" deve restare aperta. Dopo l'ingresso di Romania e Bulgaria è necessario proseguire il complesso negoziato con la Turchia e con la Croazia, oltre che avviare una seria e fattiva riflessione che riguardi l'insieme dei Balcani. Questo riguarda il Montenegro, che ha recentemente scelto per l'indipendenza, e vale anche per la Serbia, a cui deve arrivare un messaggio di apertura e di disponibilità da parte della comunità internazionale, anche per evitare un sentimento di isolamento e un pericoloso ripiegamento nazionalistico (pensiamo a tutte le difficoltà legate al negoziato per quanto attiene allo status finale del Kosovo). Sono convinto, a questo riguardo, che solo nella prospettiva di un'integrazione nell'Unione europea si può pensare ad una stabilizzazione nei Balcani.
Il processo di ampliamento è strettamente legato ad una riforma che dia efficacia e funzionalità alle istituzioni dell'Unione. Nell'Europa allargata, o meglio riunificata, una maggiore flessibilità sarà nell'ordine delle cose e aumenterà il ricorso a forme più avanzate di integrazione per iniziativa di un limitato numero di Stati membri. È nostra convinzione che rientri nell'interesse dell'Italia favorire queste forme di cooperazione rafforzata, assicurando la partecipazione del nostro Paese nell'area della “governance” economica, della sicurezza interna, della politica estera e della difesa. È essenziale che ciò avvenga sulla base di meccanismi inclusivi e non discriminatori.
CON L'EUROPA, NEL MONDO
E' una fondata convinzione comune che un accresciuto peso internazionale dell'Europa consentirebbe di affrontare in modo più coeso le grandi crisi che abbiamo di fronte. Innanzitutto la questione iraniana, che ha un rilievo prioritario per il nostro Paese, data anche l'importanza degli interessi economici in gioco (come è noto l'Italia è il primo partner commerciale dell'Iran in Europa). Il Governo italiano ha sostenuto l'impegno dell'Alto Rappresentante dell'Unione Europea, Javier Solana per una soluzione negoziata e condivisa. Con l'Alto Rappresentante abbiamo convenuto sul fatto che non si può chiudere aprioristicamente la porta al dialogo con l'Iran, da cui peraltro ci saremmo attesi maggiore disponibilità. Non dimentichiamo che nel negoziato con l'Iran è anche in gioco la questione dell'impegno della comunità internazionale per evitare ulteriori processi di proliferazione nucleare, messo alla prova drammaticamente dal recentissimo test nucleare nord-coreano.
In proposito, ritengo importante l'atteggiamento assunto dall'Amministrazione statunitense che, con grande senso di responsabilità, ha sostenuto i tentativi di dialogo costruttivo con l'Iran intrapresi dall'Europa. È stata una svolta assai significativa che ha consentito di presentare a Teheran non soltanto un pacchetto negoziale più credibile, ma anche la prospettiva di un riconoscimento del ruolo internazionale di quel Paese.
Il Governo italiano ritiene che una svolta politica nella situazione di stallo con Teheran potrebbe facilitare anche la stabilizzazione in Iraq e in Afghanistan. Naturalmente tale approccio richiede che l'Iran dimostri con i fatti di voler agire a favore della pace nel Golfo e che, insieme, rinunci una volta per tutte alle violenze verbali nei confronti di Israele e riconosca il diritto all'esistenza dello Stato di Israele.
Per quanto riguarda l'Iraq, è noto il mandato elettorale che abbiamo ricevuto, così come è noto il modo che il Governo ha prescelto per darvi attuazione. I nostri soldati completeranno il rientro in Italia nelle prossime settimane. Questo approccio, di un rientro progressivo e concordato con Baghdad, con Londra, con Washington e con gli altri alleati è stato apprezzato dallo stesso Governo iracheno e coincide con la diretta assunzione del controllo della sicurezza delle regioni del Sud del Paese da parte del governo iracheno.
La presenza militare italiana in Afghanistan non è in discussione, malgrado il pesante tributo -anche di vite umane- pagato dal nostro contingente. A differenza dell'Iraq, la presenza militare dell'Italia in Afghanistan si inscrive in una vicenda che si è sviluppata in un quadro giuridico e politico assai diverso rispetto a quello dell'Iraq. Innanzitutto, fin dall'inizio si è svolta nel quadro di una risoluzione delle Nazioni Unite, che in Iraq intervenne ex post.
Inoltre, la partecipazione italiana alla missione ISAF è considerata indispensabile dalla comunità internazionale e dal Governo afgano. L'obiettivo di rimettere in piedi un Paese prostrato dal regime talebano, con il suo corollario di sistematiche violazioni dei diritti umani -delle donne in modo particolare- e di sostegno al terrorismo internazionale è ancora lontano. Esistono rischi evidenti di disgregazione violenta, esistono preoccupanti segnali di ripresa dei gruppi talebani, resiste una criminalità collegata alla produzione di oppio. Bisogna evitare un ritorno al passato. E' evidente, a tal fine, che alla presenza militare va abbinata una strategia politica, umanitaria, economica più efficace e di sostegno alla transizione democratica, alla ripresa del Paese e che tenga conto fino in fondo dei bisogni immediati della popolazione e della sensibilità degli afgani.
Il caso dell'Afghanistan conduce ad una riflessione più generale. Il disagio evidente, le frustrazioni, i risentimenti antioccidentali esistenti nel mondo islamico indicano l'importanza di una strategia politica più efficace nella lotta globale a lungo termine contro il terrorismo fondamentalista. Io credo che gli ultimi anni abbiano cancellato l'illusione che la guerra fosse l'arma più efficace per soffocare il terrorismo. Non sono fra quanti ritengono che si debba escludere in linea di principio l'uso della forza ma credo che si debba rimettere in primo piano un'azione a tutto campo per isolare il terrorismo e per conquistare la grande maggioranza delle opinioni pubbliche dei Paesi arabi e islamici ad un'azione comune contro il terrorismo. Un'azione a tutto campo significa anche un'azione politica in grado di generare progressi sul fronte israelo-palestinese. L'Italia intende contribuirvi in modo più attivo così come intende riportare il Mediterraneo al centro delle sue priorità dopo anni di relativa marginalità.
La situazione del Medio Oriente appare oggi drammaticamente preoccupante. La comunità internazionale intende farsi carico delle ragioni d'Israele, della esigenza della sicurezza e del pieno riconoscimento dei diritti di Israele da parte non soltanto dei palestinesi ma anche dei suoi vicini. Ho incoraggiato il Governo israeliano, nel corso dei numerosi contatti degli ultimi mesi, a non affidarsi ad una iniziativa unilaterale. La pace può essere costruita soltanto attraverso il negoziato e l'accordo tra le parti.
La disponibilità manifestata da Israele, a seguito dell'ultima crisi in Libano, a condividere con una forza internazionale la tutela delle sue frontiere settentrionali è un primo segnale che queste esortazioni non sono state vane. La crisi libanese è stata la questione che dall'avvio della nuova Legislatura più di ogni altra ci ha chiamato a un forte impegno politico-diplomatico. Sin dall'inizio era parso evidente che il conflitto si sarebbe prolungato e aggravato fintantoché il Governo libanese di Siniora non fosse riuscito ad esercitare nella sua interezza la sovranità sul territorio nazionale. Da qui l'idea di una Conferenza internazionale, che ho convocato -insieme con il Segretario di Stato degli Stati Uniti- lo scorso 26 luglio a Roma.
La Conferenza per il Libano è stato un primo, essenziale passo verso una composizione politica del conflitto. Basta scorrere la Dichiarazione Finale della Conferenza per rilevare che in essa vi sono praticamente tutti gli elementi che sarebbero poi stati ripresi dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla base del cessate il fuoco.
Da parte nostra, abbiamo poi fatto seguire con coerenza al grande impegno politico-diplomatico, un impegno importante anche in termini di contributo alla forza di pace e alla ricostruzione del Libano. Ciò ha agevolato un'ampia partecipazione alla forza di pace internazionale prevista dalla Risoluzione 1701, la cui presenza nel Sud del Libano è garanzia di sicurezza per Israele e agevolerà il realizzarsi di quelle condizioni politiche necessarie al successo dell'iniziativa.
La gestione di tale crisi, ed i numerosi contatti che nel suo corso ho avuto con il Segretario di Stato, Condoleezza Rice, e con l'Amministrazione statunitense, hanno dimostrato una volta di più che la centralità dell'alleanza dell'Italia con gli Stati Uniti è fuori discussione e costituisce l'asse portante della politica estera di un Governo che guarda alla vitalità di un legame euro-atlantico fondato anche su un polo europeo più solido e più integrato. Un'Europa coesa è anche per l'America un alleato più utile di un'Europa divisa e fragile. Europei ed americani hanno in comune molte più cose di quante possano dividerli.
Europa e Stati Uniti hanno un comune interesse alla diffusione della democrazia, dei diritti umani, dei diritti economici e sociali su scala internazionale. Allargare l'area dei Paesi che godono di questi diritti è una delle migliori garanzie di sicurezza e di sviluppo globale. È un obiettivo che non può dividerci, anche se può a volte dividerci la strategia per conseguirlo. Anche per questa ragione si pone l'esigenza di una vera discussione strategica. Riteniamo che il canale della NATO vada affiancato dal rafforzamento del dialogo tra Unione europea e Stati Uniti.
Vorrei fare infine un rapido riferimento alla politica economica estera, soprattutto alla cooperazione allo sviluppo. Non è in discussione la logica generale della cooperazione italiana, che pone chiaramente al centro la riduzione della povertà. È da discutere il livello degli aiuti dell'Italia, oggi sotto la soglia di qualunque altro Paese avanzato. È per me motivo di soddisfazione essere riuscito ad inserire, nella finanziaria attualmente in discussione in Parlamento, un cospicuo aumento dell'aiuto allo sviluppo. Un'inversione di tendenza rispetto agli anni passati che ci consentirà di far fronte agli impegni assunti dall'Italia sul piano internazionale.
PER UN MULTILATERALISMO EFFICACE
Mi sembra in conclusione abbastanza chiaro che se ci sottraessimo a importanti missioni internazionali sotto l'egida delle Nazioni Unite, se mantenessimo livelli ridotti di aiuto pubblico allo sviluppo non potremmo certamente sostenere con coerenza l'importanza di una cooperazione multilaterale centrata sul sistema delle Nazioni Unite, né sostenere il nostro ruolo nel Consiglio di sicurezza dove l'Italia siederà per il biennio 2007-2008. La scelta multilateralista dell'Italia deve essere accompagnata da decisioni politiche, dall'assunzione di impegni per dimostrare nei fatti che si tratta di una via che produce risultati tangibili assai più dell'opzione unilaterale.
Nel Consiglio di Sicurezza non è nostra intenzione limitarci ad occupare il seggio per il quale siamo stati eletti. Vogliamo dare un contributo di idee e di risorse ad una riforma che ha già incontrato molte difficoltà e che, questa è la nostra posizione da tempo, dovrà basarsi su una valorizzazione degli organismi regionali. Ma vogliamo anche proporre una gestione del nostro seggio in termini il più possibile “europei”, tenendo cioè conto seriamente anche nell'ambito delle Nazioni Unite della nostra appartenenza all'Unione e delle posizioni comuni europee in politica estera. L'Italia sarà anche membro della Commissione per il consolidamento della pace appena istituita. Si sono inoltre aperti i lavori - il 19 giugno scorso - del nuovo Consiglio per i diritti umani, un organismo che ha limiti evidenti ma che segna, tuttavia, un progresso rispetto alla vecchia Commissione delle Nazioni Unite. Abbiamo presentato la nostra candidatura al Consiglio per il triennio 2007-2010 assumendo già l'impegno di adoperarci per l'abolizione della pena di morte, la promozione della democrazia e della legalità, la lotta contro ogni forma di discriminazione, di intolleranza, la protezione dei bambini nei conflitti armati e la lotta contro la tortura.
Più in generale, ritengo che la tutela dei diritti umani debba avere un ruolo essenziale in una politica estera che voglia darsi, come credo sia giusto, una forte connotazione etica. Ciò vale nel rapporto con tutti i Paesi, sia con quelli con i quali vogliamo sviluppare rapporti economici e politici più intensi, dalla Cina ad altri Paesi asiatici, sia con i nostri alleati.
Un idealismo temperato dal realismo deve guidarci nelle scelte internazionali.