Intervista
19 ottobre 2011

E’ GIUSTO TRATTARE COL NEMICO: L’ALTERNATIVA E’ LA GUERRA.<br>

Intervista di Umberto De Giovannangeli – L’Unità


“Questa vicenda, conclusasi positivamente, dimostra che con i nemici si tratta, perché l'unica alternativa al negoziato è la guerra. Spero che la liberazione di Gilad Shalit e dei detenuti palestinesi, non resti un episodio isolato ma possa innescare una fase nuova, positiva. Ma ciò non è scontato”. A sostenerlo è Massimo D'Alema, che ai tempi del rapimento del caporale di Tsahal era titolare della Farnesina. “L'altra faccia della medaglia – annota D'Alema – è il rischio che agli occhi dei palestinesi Hamas venga vista come la forza vincente, perché rapisce, e l'Anp di Abu Mazen marginale, inefficace, perché dalla scelta del dialogo non ottiene risultati concreti”.

Nei giorni in cui ha inizio l'odissea di Gilad Shalit, lei era ministro degli Esteri. Quali i ricordi personali di una storia durata quasi 2000 giorni?

“Da subito sollecitammo una soluzione, ma eravamo consapevoli che le difficoltà, nel caso Shalit, nascevano dal fatto che l'interlocutore con cui occorreva fare i conti non era l'Autorità nazionale palestinese ma Hamas e che qualsiasi accordo avrebbe dovuto coinvolgere questa organizzazione...”.

Per averlo sostenuto, lei ha subito pesanti critiche...

“Sono stati attacchi strumentali. In Italia si polemizzò anche sul fatto che noi sollecitavamo contatti con esponenti di Hezbollah, senza considerare, o facendo finta di ignorare, che Hezbollah era una delle forze politiche più importanti del Libano e che partecipava anche con i suoi ministri al governo del Paese. Con chi avremmo dovuto negoziare la tregua in Libano? La vicenda-Shalit dimostra che con i nemici si tratta, perché l'unica alternativa al negoziato è la guerra. Mi fa piacere che alla fine di questa storia, a ritrovare la libertà siano anche un migliaio di palestinesi, gran parte dei quali non possono essere considerati dei terroristi. C’è però un rischio che non va sottaciuto...”.

Di quale rischio si tratta?

“Che agli occhi dei palestinesi passi l'idea che Hamas vince perché rapisce e tratta su posizioni di forza con Israele, mentre Abu Mazen, con la sua linea del dialogo, è perdente perché non porta a casa alcun risultato tangibile. Non possiamo correre il rischio che la leadership moderata di Abu Mazen venga drammaticamente indebolita..”.

Su cosa si fonda questa preoccupazione?

“Colpisce che il Governo israeliano abbia negoziato con Hamas, mentre non sembra voler offrire una base realistica ad una trattativa, seria, con l'Anp del presidente Abu Mazen. Siamo in un momento estremamente delicato, in cui al governo israeliano di Benjamin Netanyahu si dovrebbero sollecitare proposte positive, aperture sostanziali, e non limitarsi solo alla registrazione dei tanti “no”. Come non vedere che la politica dei fatti compiuti portata avanti dalle autorità israeliane – penso alla colonizzazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est – rischia di rendere vuota la prospettiva di una pace fondata su due Stati? C’è una iniziativa del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr) che non sembra ridursi ad un generico appello alle due parti perché riaprano il tavolo negoziale. Il Quartetto chiede a Israele e all'Anp di avanzare proposte concrete sulle questioni cruciali per un accordo di pace: confini, status di Gerusalemme, sicurezza per Israele, il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, sapendo che il tempo non lavora per la pace e che il dialogo non può essere fine a se stesso”.

In molti, sia in Israele che nei Territori, invocano un ruolo attivo dell'Europa...

“Purtroppo non se ne vedono i segni, ma, certo, sarebbe auspicabile un protagonismo dell’Ue, soprattutto nel momento in cui gli Stati uniti appaiono sostanzialmente bloccati. Il presidente Obama, agli inizi di settembre, ha aveva fatto osservazioni condivisibili sui confini, sulla prospettiva dei due Stati, ma il giorno dopo il Congresso americano ha applaudito Netanyahu che rispondeva picche alle sollecitazioni della Casa Bianca. Le difficoltà di Obama sono legate soprattutto alla politica interna, e in questo scenario, l'Europa dovrebbe farsi avanti, parlando con una sola voce e praticando in Medio Oriente una strategia condivisa...”.

Invece?

“Invece l'Europa rischia di spaccarsi in tre alle Nazioni Unite sul riconoscimento dello Stato palestinese, mentre, a mio avviso, dovrebbe sostenere la richiesta di Abu Mazen, perché rigettarla significa dare un colpo forse mortale alla leadership moderata palestinese e far sì che la prospettiva di una pace fondata sul principio, due popoli, due Stati”, perda di ogni credibilità”.

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