A sinistra è un incubo che conoscono bene: tante volte lo hanno dato per finito e invece ogni volta Silvio Berlusconi è riuscito a sopravvivere, vincendo i suoi oppositori. Stavolta però non andrà così. Perché è diventato un costo: vero, tangibile, concreto. «E’ evidente che oltre alla crisi l’Italia paga un sovrapprezzo Berlusconi. Una vera e propria sovrattassa. Vorrei fosse chiaro agli italiani: stiamo vendendo i Btp decennali al 6 per cento e dunque pagheremo per dieci anni un tasso di interesse smodato. E’ come se ogni famiglia italiana tirasse fuori di tasca un mucchietto di euro per tenere Berlusconi a palazzo Chigi. Se invece se ne va, li risparmiano: non è una cosa da poco».
Nel suo studio di presidente del Copasir, mentre tormenta la vuota bustina di zucchero versata nel caffè che ha offerto al cronista, Massimo D’Alema sciorina le sue convinzioni: «Berlusconi si sta trascinando in una pervicace difesa delle sue posizioni di potere, di una sua presunta insostituibilità di cui peraltro, a parte un gruppetto di fanatici, ormai è l’unico propugnatore visto che anche il grosso dei parlamentari del Pdl non la pensa più così».
Già, ma sono tanti che dicono: ok, il Cavaliere se ne va però manca l’alternativa; la sinistra non è credibile, faremmo un salto nel buio e così via.
«Si tratta di critiche prive di qualsiasi fondamento. Alcune addirittura indignano. E’ incredibile che si debba ancora oggi leggere su alcuni giornali che la sinistra deve dimostrare di avere le ricette giuste per affrontare il debito pubblico: mi domando dove erano questi signori quando noi abbiamo fatto una politica che ha ridotto quel debito, portandolo dal 121 al 103 del Pil. Abbiamo portato la lira nell’euro, abbiamo ridotto la spesa pubblica globale. E mentre la spesa pubblica improduttiva dilagava dov’erano questi guardiani del rigore? Noi abbiamo insegnato, portando al governo personalità come Ciampi, Prodi, Padoa-Schioppa. Non dobbiamo imparare da nessuno, non dobbiamo dare prove a nessuno. Soprattutto a chi ha voluto Berlusconi alla guida del Paese».
Presidente, dice queste cose perché di fatto siamo già in campagna elettorale?
«Tutt’altro. Il governo in carica ha mentito sulla crisi, l’ha negata fino a quando non ha dovuto drammaticamente inseguirla con una escalation di misure improvvisate. Basta pensare alle tre-quattro manovre di questa estate. E fino a qualche settimana fa il premier ci raccontava che la crisi era una invenzione di quei menagramo della sinistra, castrofisti e anti-italiani».
E dopo, una volta caduto Berlusconi, come si riparte? Lei che percorso suggerisce, in concreto?
«Uno solo, e semplicissimo. Già non appena Berlusconi se ne andasse guadagneremmo 50-60 punti di spread. Nel momento in cui il capo dello Stato indica una personalità del tipo di quelle di cui si parla ne guadagnamo altri cento: su questo non c’è dubbio. E poi si fa un governo che noi siamo pronti a sostenere, e chiediamo al Pdl di fare altrettanto. Non ci interessano ribaltoni. Proponiamo un’altra strada: si consenta al capo dello Stato di scegliere una personalità di prestigio. Se invece non ci sono le condizioni perché Berlusconi si mette di traverso o perché la Lega fa le barricate, allora andremo alle elezioni. Come successo in Spagna. Se ci sono le condizioni per fare un simile esecutivo noi siamo disponibili, e mi sembra una posizione non solo responsabile ma anche assai generosa. Sondaggi alla mano, infatti, avremmo un certo interesse ad andare dritti alle elezioni anticipate».
Infatti c’è chi dice che quella del Pd è solo una furbesca operazione di bandiera perché ciò che volete è andare alle urne sicuri di vincere. Cosa risponde?
«Noi siamo un grande partito, abbiamo detto all’opinione pubblica e al capo dello Stato che siamo pronti a sostenere un governo di responsabilità e lo faremo. Punto. Caso mai la strada si presenta in salita per l’irresponsabile resistenza di Berlusconi e per la mancanza di coraggio e di coerenza di tantissimi parlamentari del centrodestra che la pensano come me, ma non hanno avuto fin qui il coraggio di prendersi la loro responsabilità. La difficoltà sta qui. E aggiungo: il tempo è poco, anzi sta scadendo. Se si deve fare è cosa di giorni, dopo non avrebbe senso fare un governo di questo tipo per pochi mesi. A tutti quei parlamentari della maggioranza che la pensano come me io dico: signori, datevi una mossa».
Ma se la situazione precipitasse, si potrebbe votare anche a brevissima scadenza, diciamo gennaio?
«Se in Spagna votano a fine novembre, perché mai noi non possiamo votare a gennaio-febbraio? Cosa succede, gli italiani prendono freddo? Sono argomenti privi di consistenza».
Scusi, anche a sinistra molti sono scettici riguardo la possibilità di mettere insieme le forze che hanno prodotto la situazione che anche lei ha appena descritto con le opposizioni, Pd e Terzo Polo in testa.
«Guardi, sono ragionamenti che appartengono, diciamo così, alla logica formale. Nella vita di un Paese ci sono momenti di emergenza in cui i partiti devono essere in grado di prendersi una comune responsabilità. Non stiamo mica parlando di un destino comune tra noi e il Pdl. Stiamo ragionando su un governo di emergenza che dovrebbe durare un anno o poco più. Poi comunque si va al voto. Un governo che dovrebbe fare la riforma elettorale ed affrontare l’emergenza della crisi. Emergenza che richiede misure forti».
Ecco, appunto: quali? Quelle contenute nella lettera della Bce? Ma come si fa se, solo per restare nel Pd, c’è una parte quelle misure abbraccia e un’altra che le rigetta?
«Come spesso accade da noi, si innescano dibattiti campati in aria, di natura puramente ideologica. Il governo di cui stiamo parlando dovrebbe affrontare l’emergenza con una manovra che da una parte acceleri la messa a regime della riforma previdenziale con il sistema contributivo, cosa che a mio avviso si doveva fare molti anni fa».
Dunque anche con l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni?
«Certo, salvo naturalmente che se uno vuole uscire prima si prende la pensione con i contributi effettivamente versati. Siccome però questo porta di fatto ad una diminuzione delle pensioni erogate, dall’alta parte bisognerebbe realizzare una seria riforma fiscale che significa tassare patrimoni e rendite e alleggerire la pressione fiscale su salari, pensioni e stipendi. Come dice Confindustria. Oggi il lavoro dipendente percepisce poco più del 40 per cento del reddito nazionale e paga più dell’80 per cento delle tasse. E’ la più spaventosa ingiustizia del Paese».
Presidente suvvia: la riforma fiscale non l’ha fatta nessuno, né governi di centrodestra né di centrosinistra.
«Io penso che nelle situazioni difficili a volte si fanno le scelte più coraggiose. Pensiamo ai governi Amato o Ciampi. Naturalmente dipende dalle condizioni politiche. Se il Pdl e la Lega si mettono di traverso e dicono elezioni e basta, non è che si può passare da un governo precario di centrodestra ad uno precario, di ribaltone, di centrosinistra. Vorrei chiarire per chi ha dei dubbi. Il nostro obiettivo è andare al governo attraverso le elezioni. Se per senso di responsabilità ci disponiamo a sostenere un governo di transizione non è per imboccare una scorciatoia».
Resta che Vendola ha detto chiaramente di no alle larghe intese e pure Di Pietro, che invece dice sì, sembra lo faccia con un piede dentro e uno fuori.
«Non mi pare. Tutte le opposizioni che sono presenti in Parlamento hanno dichiarato la loro disponibilità a sostenere un governo di emergenza o responsabilità nazionale. Di Pietro ha detto: senza Berlusconi e senza macelleria sociale. Ovvio, chi la vuole? Non confondiamo la propaganda con la politica».
Lei non vuole fare nomi di possibili premier. Mettiamola così: il Pd sarebbe disponibile a sostenere un governo di larghe intese con a capo un esponente di centrodestra? Circolano i nomi di Gianni Letta o Renato Schifani.
«Quella è una operazione diversa. Quei nomi sono stati indicati da deputati del Pdl che vogliono un nuovo governo di centrodestra con un premier che sia in grado di allargare la maggioranza. Non so se sia una prospettiva realistica. In ogni caso le dimissioni di Berlusconi rappresenterebbero un passo avanti, ma ho dei dubbi che ci sarebbero oggi le condizioni per rilanciare il centrodestra con un altro leader. E’ comunque non sarebbe questa la risposta alla crisi del Paese. Non dimentichiamo che i sondaggi dicono che il centrodestra rappresenta il 36 per cento dell’elettorato: non è con questa debolezza che si affronta una crisi così drammatica».
D’accordo, allora un nome lo faccio io tanto è facile. Mario Monti?
«Monti ha fatto parte per dieci anni del governo europeo, non è una personalità che non abbia conoscenza delle istituzioni e del rapporto con il Parlamento. E’ stato titolare del più importante dicastero del governo dell’Europa. Voglio dire che nella sua vita non ha fatto solo il professore: ha esperienza politica e istituzionale di primaria grandezza».