Signor Presidente della Camera, Signor Presidente del Consiglio, colleghi deputati. La crisi dei debiti sovrani è uno dei passaggi più difficili della storia dell’Europa unita, una minaccia alla stabilità e alla prosperità dei nostri Paesi. Purtroppo l’Europa ha mostrato in questa crisi un deficit preoccupante di solidarietà, una mancanza di visione e di slancio coraggioso verso il futuro ed è apparsa per molti aspetti ripiegata e prigioniera di politiche miopi e conservatrici.
Fortunatamente oggi l’Italia affronta questo passaggio cruciale nelle condizioni di una ritrovata credibilità europea e di un concorde impegno nazionale per salvare il Paese. Questo ci consente di uscire da un rischioso isolamento, da una debolezza negoziale di cui abbiamo pagato già un prezzo alto – ho apprezzato i riferimenti garbati che Ella ha fatto agli impegni già sottoscritti – e ci consente in questo momento, non essendo considerati più come un pericoloso anello debole dell’Unione europea, di spendere il prestigio del nostro Paese non solo per difendere fondamentali interessi nazionali, ma per ridare slancio al processo di integrazione, come Ella ha detto, anche sulla base di una personale passione europeista, coltivata nei lunghi anni di impegno nella Commissione europea. Mai come in questo momento interesse nazionale e integrazione europea coincidono, sono due aspetti di una stessa politica.
Noi siamo alle prese con un trattato intergovernativo che è il segno di una difficoltà ed è indubbiamente una soluzione discutibile sul piano istituzionale, politico ed economico. E’ giusto dirlo per chi, come noi, non abbia doveri diplomatici. Un ripiego, dopo il fallimento prevedibile del tentativo tedesco di emendare il Trattato di Lisbona, per via del veto britannico. Un tentativo mosso dalle ragioni interne della politica tedesca, dalla fragilità di una coalizione venata da sentimenti antieuropei, dall’avere forse dimenticato, come l’ex Cancelliere Helmut Schmidt ha detto qualche giorno fa, le ragioni della solidarietà e della gratitudine che la Germania dovrebbe avere verso l’Europa unita. Il trattato intergovernativo ignora le possibilità previste dall’attuale Trattato e dai regolamenti comunitari, determina un rischio – che dovrà essere limitato nella trattativa in corso – di confusione e di sovrapposizione e rischia di indebolire l’ordinamento comunitario e le istituzioni europee. Per questo è molto importante che l’Italia sia schierata, come appare, a difesa dei diritti del Parlamento europeo, di cui all’articolo 9 del trattato, e per rafforzare la cooperazione tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali, essendo chiaro che un di più di democrazia è una delle condizioni perché l’Europa riacquisti credibilità presso i cittadini dell’Unione. Occorre rafforzare quel primato del diritto comunitario, che è uno dei punti più controversi dell’attuale negoziato e occorre, naturalmente – e questo è interesse nostro – che il criterio di riduzione del debito di cui all’articolo 4 sia ricondotto al quadro del diritto comunitario, con la considerazione dei fattori rilevanti che possano consentire una maggiore flessibilità rispetto a obblighi che appaiono insostenibili. E sembra di capire che almeno per ora, nella terza bozza del testo, ci sia qualcosa a cui si possa guardare con maggiore fiducia da parte nostra.
Ma certamente, al di là di questo passaggio delicato, è l’orizzonte di una politica europea per la crescita e la competitività che ci interessa, oltreché una effettiva solidarietà nella gestione dei debiti sovrani, che è l’unica condizione per combattere la speculazione, per ridurre i tassi, per fare ciò che fin qui non è stato fatto, imponendo per la lentezza della reazione, per la timidezza e per la chiusura nazionalistica un costo – penso alla crisi greca – che alla fine è stato assai maggiore di quanto sarebbe costato affrontare la crisi per tempo e con mezzi adeguati per stroncare la speculazione. Condivido anch’io l’idea che non è tempo per rilanciare una concezione della crescita basata sul deficit pubblico, però mi consenta di dire che senza programmi mirati di investimenti e grandi progetti europei nel campo dell’innovazione, delle infrastrutture innovative, della formazione, è difficile pensare a una strategia per la crescita che faccia leva esclusivamente su misure di liberalizzazione e di rafforzamento della competitività. Occorre quantomeno una combinazione intelligente di questi fattori, insieme – mi lasci sottolineare questo punto – alla necessità di rilanciare una domanda privata, il che passa attraverso politiche di giustizia sociale, di riduzione delle diseguaglianze, di restituzione di reddito ai lavoratori e alle famiglie, dopo anni in cui sono cresciute intollerabili diseguaglianze sociali che hanno come effetto economico una strozzatura della domanda.
Una strategia di questo tipo richiede non soltanto una coerente azione nazionale, ma richiede una visione europea. Mi ha fatto sinceramente piacere ascoltare nelle parole dell’amico Frattini una ferma posizione a favore della tassa sulle transazioni finanziarie. Avevo un ricordo diverso, ma si cambia e si cambia tutti verso il meglio, così come ho apprezzato anche il richiamo severo, che condivido, alla necessità di recepire la direttiva europea in materia di pagamenti della Pubblica amministrazione, dopo che la precedente maggioranza lo tolse per tre volte dalla legge comunitaria. Mi sembra un segno che il clima di comune impegno nazionale cominci a produrre dei frutti importanti.
Insomma, condivido con Lei il sentimento di chi spera che al più presto questo patto fiscale sia alle nostre spalle e che, avendo offerto le garanzie di responsabilità, si possa guardare insieme alle prospettive future dell’Europa, a condizione, tuttavia, che questo patto non produca troppi danni e questo dipenderà molto dalla capacità negoziale di chi crede nell’Europa. Ecco, l’Italia sia in questi giorni schierata dalla parte di chi crede nell’Europa: Parlamento europeo e governi più impegnati in senso europeista. Il peso dell’Italia può essere importante, tanto più che in Italia si torna ad avere fiducia e di questo dobbiamo essere grati a Lei e al Suo governo. Grazie.