Evitiamo di aprire un dibattito su quando si dovrebbe votare», dice Massimo D'Alema. Il quale però, parlando dal palco della Festa de l'Unità di Fucecchio, non nasconde di essere preoccupato: «La situazione è insostenibile, per responsabilità di chi dovrebbe far parte della maggioranza e invece tiene un piede di qua e uno sull'asse con la Lega. Saggezza vuole che si approvi al più presto la legge elettorale, comunque».
Crollo della Borsa, spread oltre i 500 punti: la decisione presa lo scorso autunno di sostenere un governo tecnico anziché puntare subito alle elezioni non sembra aver prodotto risultati rilevanti. O no, presidente D'Alema?
«No, non si può legare il governo tecnico allo spread. E comunque se ci fosse il governo Berlusconi, sarebbe molto peggio. Siamo in una bufera europea, che onestamente ha poco a che fare con l'esecutivo italiano. Anche la Spagna, che ha una guida politica, ha uno spread a quota 620. La verità è che quanto sta avvenendo rivela la fragilità della risposta europea di fronte a una speculazione che colpisce i Paesi comunitari che presi singolarmente sono impotenti a reagire e che rischia di provocare una crisi dell'Euro. E questo, soprattutto per responsabilità tedesca».
Perché dalla Germania fanno sapere che chi è maggiormente colpito, come la Grecia, può anche uscire dall'Unione?
«Sono dichiarazioni che contribuiscono a dare la sensazione di una caduta generale,
ma non c'è solo questo. Persino una parte delle misure decise al Consiglio europeo, in modo tardivo e insufficiente, non riesce a essere messa in opera. E necessario attuare rapidamente quanto deciso, perché il vuoto di governance, la scarsa solidarietà e la mancanza totale di una strategia per il futuro sono insostenibili».
Limitiamo il discorso all'Italia: anticipare il voto in autunno, considerato che le riforme economiche più importanti sono state già approvate, può servire a dare un messaggio di stabilità all'esterno? O al contrario rischierebbe di portare maggiore instabilità?
«Si tratta di questioni su cui tutto si può fare meno che aprire un dibattito, che rischierebbe, oltretutto, di investire scelte che spettano al Capo dello Stato. Ciò di cui si deve discutere adesso, ciò che va fatto ora è una riforma della legge elettorale. Si è perso ancora molto tempo. Questa è un'emergenza, a prescindere dalla data delle elezioni. Per essere comunque pronti. Purtroppo, abbiamo interlocutori improbabili. E ogni giorno che passa c'è un motivo in più d'allarme».
Gli interlocutori "improbabili" a cui fa riferimento sono maggioranza con voi, in Parlamento...
«Veramente non si capisce più se il Pdl faccia parte della maggioranza, o di quale maggioranza faccia parte, visto il modo in cui si comporta di fronte ai provvedimenti
del governo. L'altro giorno c'è stata una scena incredibile in Parlamento. È stato ratificato il Fiscal compact, che è stato negoziato da Tremonti per il governo Berlusconi e che impone vincoli molto pesanti per il Paese. Bene, quelli che sostenevano quel governo o hanno votato contro, come la Lega e una parte del Pdl, o non c'erano, come Tremonti e Berlusconi o, come hanno fatto una cinquantina di deputati Pdl, si sono astenuti. Tutto il peso della responsabilità dei provvedimenti approvati è sulle nostre spalle. E questo, mentre con un voltafaccia al Senato hanno votato insieme alla Lega e liquidato le riforme costituzionali su cui avevamo pazientemente costruito un accordo. Non si capisce neanche se ci sia ancora, la strana maggioranza. È ragionevole dubitarne».
E quanto può durare una situazione del genere, si capisce?
«Francamente, no. La situazione si fa sempre più insostenibile. Questo deve essere chiaro a tutti. Compresi il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica».
Cosa vuole dire?
«Semplicemente che il Pd è fatto da persone responsabili, che noi e l'Udc garantiamo la maggioranza, ma veniamo messi in minoranza quando si tratta di dimostrare responsabilità e approvare le riforme. La situazione è di ora in ora più insostenibile perché abbiamo a che fare con forze politiche totalmente inaffidabili, per le quali è molto difficile anche fare questo breve pezzo di strada. E questa scarsa affidabilità alimenta tutte le incertezze per il futuro. Ora non vorrei che la ritrovata convergenza tra Pdl e Lega venga utilizzata per impedire la riforma elettorale e paralizzare la situazione».
La riforma elettorale si è incagliata sul nodo preferenze o collegi uninominali: pensa sia possibile trovare un accordo?
«Un accordo si deve trovare, in queste ore, perché altrimenti perde di senso. I collegi uninominali per noi sono preferibili, ma ci può essere da parte nostra una ragionevole flessibilità. Se si dovesse convenire che non c'è alternativa alle preferenze, si può pensare a circoscrizioni molto più piccole di quelle attuali. Si ridurrebbero enormemente i costi della campagna elettorale e i rischi di un impatto correttivo».
Quindi non ci dovrebbe essere nessun impedimento all'accordo?
«L'impedimento non è tecnico, ma politico. Il Pdl non si capisce se vuole la riforma
elettorale o meno, se vuole cambiare l'attuale legge o soltanto fare propaganda. Stanno raccogliendo le firme per il presidenzialismo, quando l'accordo era per tutt'altra riforma. Hanno fatto un colpo di mano insieme alla Lega, che finge di aver riguadagnato una sua autonomia ma si muove in Parlamento come una componente dell'alleanza con il Pdl. Che a sua volta sta con un piede dentro la maggioranza e con l'altro nel fronte di chi fa opposizione al governo. La situazione è sempre più precaria a causa del comportamento del partito di Berlusconi».
Che ha annunciato che si ricandiderà: e il Pd, con quale alleanza e quale linea andrà alle elezioni?
«Con quelle che garantiscono una prospettiva di governo del Paese. Bersani ha presentato dei punti qualificanti per un governo di legislatura, sui quali è possibile creare una maggioranza ampia di progressisti e moderati. Quanto alla linea, da una parte dovremo confermare quella della serietà e del rigore avviata da questo governo. Dall'altra, dovremo anche puntare su crescita e giustizia sociale in modo molto più coraggioso di quanto non abbia potuto fare questo governo. E poi dovremo portare avanti un progetto europeo di centrosinistra, lavorare sulla linea aperta dai francesi per una svolta in Europa, per un salto di qualità nell'integrazione politica dell'Unione».
I francesi vuol dire il socialista Hollande: che dice del centrista Casini, il quale riconosce che senza il Pd non si può governare il Paese?
«Che questa considerazione ci carica di un ulteriore elemento di responsabilità.
Mi domando se nel Pd tutti abbiano la stessa idea di Casini».
Vuole aprire una polemica?
«Tutt'altro, dico anzi che dovremmo evitare polemiche inutili, l'esasperazione di discussioni tra di noi».
A cosa si riferisce?
«A molte questioni, perché anche se sono per la libertà assoluta penso che in un momento così delicato, nel quale il partito si mette in gioco per una sfida che sarà drammatica, debba prevalere un elemento di disciplina e responsabilità. Ci sono non so quanti pretendenti a fare il capo di governo, quando è chiaro che non ci aspetta una passeggiata di salute».
Tra i "pretendenti" di cui parla, il Pd sosterrà Bersani?
«Bersani è stato eletto segretario del Pd con un voto a cui hanno partecipato oltre quattro milioni di elettori, questo anche perché la regola del Pd dice che il leader del partito è candidato a governare il Paese. Altrimenti non avrebbe senso eleggerlo con il voto dei cittadini. Ma, al di là di questa considerazione, mi pare evidente che la personalità più in grado di tenere unita una maggioranza parlamentare e di governare il Paese in un momento così difficile sia proprio Pier Luigi Bersani».