Grazie per l’invito, che ho
accolto con piacere. Tutti noi, quando l’altra sera abbiamo visto alla
televisione le immagini dei palestinesi che a Ramallah e in altre città dei
Territori scendevano nelle strade per festeggiare il voto delle Nazioni Unite,
abbiamo condiviso un grande sentimento di gioia.
Si tratta di un voto storico, di
un riconoscimento dovuto a un popolo che ha affrontato tante sofferenze e che
tuttora vive in una condizione così difficile, ma che non ha mai rinunciato
alla sua dignità e alla sua aspirazione di costruire uno Stato indipendente.
Ho immaginato solo per un momento
cosa sarebbe potuto succedere se l’esito di quel voto fosse stato diverso.
Voglio dirlo per chi non ne comprende il valore: se le Nazioni Unite avessero pronunciato
un “no”, non ci sarebbe stato spazio se non per la disperazione e per la
violenza. Ecco perché dobbiamo considerare quel voto come un grande contributo
per la pace, come un voto al tempo stesso a favore dei diritti palestinesi e a
favore della sicurezza di Israele, che certamente avrebbe avuto molto più da
temere dalla disperazione che non dalla gioia palestinese.
Sono orgoglioso che l’Italia
abbia votato “sì”. D’altro canto, non sarebbe stato comprensibile un altro voto,
dato che quel “sì” esprime la continuità della politica estera italiana, un
Paese che nel corso dei decenni è stato a favore della pace, del riconoscimento
dei diritti palestinesi e si è collocato come amico al tempo stesso dei
palestinesi e di Israele.
Sono anche contento, perché si
tratta di un successo per una leadership, per un presidente amico, amico
dell’Italia e anche, lasciatemelo dire, amico personale. Un presidente che
tanto si è battuto per la pace e che rappresenta, anche per questo, un punto di
riferimento che la comunità internazionale non può certamente indebolire.
Ora bisogna fare un uso
intelligente di questa nuova opportunità. Innanzitutto per favorire un processo
di riconciliazione palestinese, che rimane una condizione importante per dare
credibilità alla prospettiva di uno Stato, ma anche alla parte palestinese nel
negoziato con Israele: Abu Mazen deve essere messo nelle condizioni di negoziare
davvero a nome di tutti i palestinesi.
In secondo luogo bisogna che si
eserciti ogni pressione affinché si avvii davvero un negoziato, e noi sappiamo
bene che questo non può essere chiesto solo ai palestinesi. Deve essere chiesto
con forza anche al governo di Israele. Non basta dire “siamo pronti a
negoziare” se poi si assumono decisioni
come quella che ha dato il via libera a nuovi insediamenti e che è stata
giustamente criticata dall’intera comunità internazionale. Si tratta di
decisioni che danneggiano gravemente le condizioni stesse di un negoziato.
Vedete, basterebbe andare lì e
vedere come vivono i palestinesi tra insediamenti, muri, strade per i coloni
circondate dal filo spinato, per capire quanto è difficile credere alla
possibilità di uno Stato palestinese. E quanto ipocrita sarebbe, da parte della
comunità internazionale, dire semplicemente “ve la dovete vedere tra di voi”, attraverso
un negoziato tra le parti… Come se si trattasse di un negoziato tra due parti
che hanno una eguale forza o una eguale possibilità di negoziare.
Si levano fortunatamente voci di
critica coraggiosa, anche in Israele, e il voto delle Nazioni Unite ha fornito
uno spunto perché in quel Paese si riapra una discussione politica.
Vedremo quale sarà l’esito, il prossimo
22 di gennaio, delle elezioni israeliane, ma comunque la comunità
internazionale deve fare la sua parte. Certo l’intesa deve essere trovata tra
israeliani e palestinesi, ma in un contesto di legalità internazionale, delle
risoluzioni delle Nazioni Unite, in un quadro che la comunità internazionale
deve garantire.
Lasciatemi ricordare, avendo
salutato ora il Primo ministro libanese, che nei giorni della guerra tra
Israele e Libano la comunità internazionale non si limitò a dire che dovevano
mettersi d’accordo tra loro, ma intervenne per fermare il conflitto con la
forza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e con la forza di un
contingente internazionale di pace.
In quell’occasione, l’Italia fece
la sua parte e ricordo che allora, come ministro degli Esteri, lanciai anche
l’idea di osservatori internazionali a Gaza per evitare che lì dovesse
ripetersi un conflitto come quello che avevamo appena vissuto tra il Libano e
Israele. Si disse di no, ma poi abbiamo visto quanto sarebbe stato necessario.
Non c’è più tempo da perdere e
vorrei che si potesse arrivare, tutti noi, a vivere una celebrazione insieme,
che non fosse una celebrazione nella quale siamo costretti a ripetere parole di
auspicio e di speranza, ma fosse la celebrazione di una pace giusta, realizzata.
Sarebbe un grande supplemento di
sicurezza per noi, di interesse per l’Italia e per l’Europa, ma sarebbe anche
una giornata straordinaria per tutti quelli che, in Israele e in Palestina,
vogliono la pace. Sono convinto che è la grande maggioranza delle persone,
delle donne e degli uomini. Noi siamo qui con loro, con gli amici palestinesi
e, idealmente, con tutti quelli che in Israele vogliono la pace, nella speranza
che gli uni e gli altri un giorno possano vincere la loro battaglia e festeggiare
finalmente insieme.
Grazie.