Presidente D’Alema questo voto ha messo in agitazione tutti.
«La situazione dell’Italia era già grave prima, ma questo voto rischia di approfondire la crisi e renderla drammaticamente irreversibile, come si vede anche dalla prima sia pur contrastata reazione dei mercati finanziari. Viceversa, potrebbe rappresentare l’occasione per una svolta positiva».
In che senso?
«Nel senso che forze che si sono aspramente contrapposte potrebbero assumere una comune responsabilità e farlo in modo nuovo rispetto alla politica tradizionale».
Voi del Pd siete stati colti alla sprovvista. Pensavate di vincere.
«Non posso dire di essere tra quelli che sono stati presi di sorpresa. Non è stata colta la drammaticità della frattura tra cittadini e sistema politico che è emersa nel corso della campagna elettorale e che certamente viene da lontano».
Il voto grillino ha rappresentato una bella botta per voi.
«Si è pensato che i grillini pescassero solo a destra e questo è stato vero, in una certa misura, almeno all’inizio; ma poi a un certo punto una parte dell’elettorato del centrosinistra si è volto in quella direzione, tant’è che il voto per Grillo ha in parte prosciugato Sel e ha colpito fortemente noi per diverse ragioni: forse più per angoscia sociale nel Mezzogiorno e più per protesta contro la politica tradizionale nel resto del Paese. La spinta al cambiamento è stata per lo più intercettata dal "Movimento 5 stelle": è un dato con cui dobbiamo fare i conti. Però adesso vorrei soffermarmi sui dati più immediati».
Ossia?
«E’ chiaro che siamo di fronte a un voto che segna la fine di un’epoca, tuttavia il Paese deve essere governato. Non è che possiamo fare un convegno culturale, c’è una priorità: salvare il Paese e trovare una soluzione che passi attraverso un’assunzione di responsabilità da parte delle forze principali. Questo significa, innanzitutto, Movimento5Stelle, centrodestra e noi».
E Monti?
«Naturalmente, non sottovaluto il ruolo del centro di Monti, ma occorre rivolgersi alle forze che, per il peso del consenso ricevuto, sono indispensabili a garantire la governabilità del Paese. Mi dispiace che Monti abbia fatto una campagna elettorale come se i problemi del Paese fossero rappresentati da una sinistra non abbastanza riformista, non vedendo che razza di ondata stava per abbattersi sul Paese. Una violenta reazione di matrice populista, con un duplice segno: di critica all’Europa e anche al sistema politico italiano. Attenzione, entrambe le critiche hanno un fondamento, sono le risposte che non sono convincenti. In mezzo a tutto questo sommovimento, Monti pensava di fare l’ago della bilancia, quando invece il problema era fare argine alla destra e al populismo».
Tornando all’assunzione di responsabilità, che cosa vuol dire?
«Significa innanzitutto far funzionare le istituzioni. Parliamoci chiaro: nessuno può avere interesse a precipitare il Paese verso nuove elezioni, che sarebbero un drammatico shock. Neanche il "Movimento 5 Stelle", che ha ottenuto un successo e che ragionevolmente credo voglia dimostrare la capacità di generare cambiamenti positivi per l’Italia».
Ma Grillo all’apertura di Bersani ha risposto picche.
«E’ presto per valutare le posizioni che alla fine verranno prese. Mi pare di vedere una certa difficoltà e anche, inevitabilmente, una tendenza a fare tattica. Mi pare anche che questa posizione di Grillo incontri qualche perplessità nel suo stesso mondo. Vedremo…».
Quindi cosa propone?
«Voglio essere assolutamente chiaro: c’è qualcosa che non può esser fatto nel modo più assoluto e cioè offrire al Paese l’immagine di partiti che cominciano le trattative per un qualche governissimo. E’ tale il fastidio verso la politica e i suoi riti che una cosa del genere non potrebbe mai funzionare. Quando parlo di assunzione di responsabilità mi riferisco alla possibilità che ciascuno, mantenendo la propria autonomia, possa confrontarsi in Parlamento alla luce del sole. Il primo problema è il funzionamento delle istituzioni e ritengo che le forze politiche maggiori debbano essere tutte coinvolte. E che quindi al centrodestra e al Movimento 5 Stelle vadano le presidenze delle due assemblee parlamentari, ovviamente sulla base della proposta di personalità che siano adeguate a ruoli istituzionali di garanzia».
E poi?
«Poi il Parlamento, e questo appello è rivolto ovviamente a tutti, deve consentire che il governo possa funzionare ricevendo il voto di fiducia. Il modello siciliano adombrato da Grillo può essere una buona idea, ma c’è una differenza istituzionale: in Sicilia il presidente è eletto dal popolo, al livello nazionale il capo del governo, se non riceve la fiducia del Parlamento, non può governare. Quindi, il confronto caso per caso finisce prima di cominciare. Dunque, ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità, senza ammucchiate e senza pasticci. Non dico che bisogna eliminare in modo artificioso le differenze che restano profonde, ma per una volta si può tentare di farne un elemento di ricchezza e di confronto e non necessariamente di scontro pregiudiziale, che rischierebbe di paralizzare le istituzioni e produrrebbe un danno difficilmente rimediabile al Paese».
Quindi niente governissimo Pd-Pdl?
«Esatto. Sono d’accordo con Bersani. A questo punto, il sistema politico-democratico è chiamato a una prova cruciale: se è in grado o meno di fare le riforme che tante volte ha annunciato e che sin qui non è stato capace di fare. E il sistema politico-democratico comprende, oggi, anche Grillo che, a mio parere, non può chiamarsi fuori».
E allora?
«La nostra è una proposta di radicale cambiamento che dovrebbe interessare innanzitutto le forze che vogliono il cambiamento. Allora dobbiamo fare una legislatura costituente. Dobbiamo dimezzare il numero dei parlamentari, ridurre quello degli eletti, riformare radicalmente la struttura amministrativa del Paese, mettere mano ai costi della politica, combattere la corruzione, varare una seria legge sul conflitto di interessi. Poi io sono anche dell’opinione che occorra una nuova legge elettorale. In una situazione frammentata come quella italiana l’unica soluzione sarebbe il doppio turno alla francese».
C’è chi dice che non abbia senso senza il presidenzialismo.
«Non demonizzo l’elezione diretta del presidente della Repubblica, che può anche servire a rafforzare l’unità del Paese. Si potrebbe fare un referendum di indirizzo sulla forma di governo, impegnando il Parlamento a seguire la decisione popolare».
E che altro dovrebbe fare il governo?
«Bisogna aggredire il tema del debito, facendo un’operazione sul patrimonio pubblico: valorizzazioni e dismissioni intelligenti, quindi non quelle industriali. E poi, ciò che è fondamentale è imprimere una svolta nel senso della crescita, del lavoro e della giustizia sociale. Non dimentichiamoci, infatti, che una chiave di lettura di questo voto è la disperazione sociale. La gente non ce la fa e comprensibilmente è esasperata verso tutti. Il voto dovrebbe mettere in allarme pure le tecnocrazie di Bruxelles, perché parla anche di loro: ci vuole un governo che abbia un mandato forte per fare valere queste ragioni anche in Europa. Il punto non è “Europa sì”, “Europa no”, ma “Europa come”».
E il reddito di cittadinanza?
«Ma chi può essere contrario al reddito di cittadinanza? Il problema è quello di trovare i soldi… Certo, se il Paese brucia un’enorme quantità di risorse in una crisi politica senza sbocchi ce ne saranno molte di meno anche per il reddito di cittadinanza».
Ma chi dovrebbe guidare questo governo? Bersani?
«Lo guiderà il partito che ha la maggioranza relativa al Senato e quella assoluta alla Camera. E che ha espresso come candidato premier Bersani».