Intervista
7 agosto 2013

Ora governo e Pd cambino passo

Intervista di Simone Collini, L’Unità


Adesso, dice Massimo D’Alema, serve «un momento di verità». O, come si diceva una volta, «una seria verifica»: «Bisogna arrivare a una stretta, mettere a punto la missione di questo governo, precisare le priorità su cui deve concentrare la sua azione. E poi bisogna definire subito un pacchetto di riforme condivise». Questo è il cambio di passo necessario per andare avanti, per dare «un senso» al governo. Soprattutto ora che con la sentenza della Cassazione su Mediaset siamo a un «finale di partita» e il Pdl si sta dimostrando «prigioniero di un rapporto di tipo carismatico-proprietario» nei confronti di Berlusconi.

Il Pd è in maggioranza con un partito che attacca la magistratura e cerca un salvacondotto per un condannato: continuerete a sostenere il governo con un simile alleato?

 

«È chiaro che siamo in un passaggio molto delicato. Il Paese ha bisogno di stabilità e tornare a votare senza aver cambiato la legge elettorale sarebbe un atto folle, sotto ogni profilo. Però è anche evidente che l’atteggiamento del Pdl rovescia sul governo tensioni che ne minano profondamente la credibilità. Allora è importante che noi costruiamo un percorso che ci consenta da una parte di agire con senso di responsabilità e dall’altra anche di fare emergere con molta forza il profilo del nostro partito, la nostra proposta per il futuro. Non possiamo ridurci ad essere semplicemente i guardiani di una stabilità sempre più traballante sotto i colpi del Pdl».

C’è chi sostiene che una simile reazione di fronte alla sentenza della Cassazione fosse prevedibile e che presto i toni si abbasseranno: la pensa così anche lei?

 

«La mia impressione è che la vicenda Berlusconi sia destinata a proseguire. Più che a un semplice episodio, ormai siamo di fronte a un finale di partita. Ci sono ulteriori scadenze di tipo giudiziario, il processo Ruby, l’accusa di corruzione di parlamentari, una vicenda molto grave perché configura un attentato alla Costituzione e ai diritti democratici dei cittadini mediante l’acquisto di parlamentari per alterare la maggioranza». 

Il Pdl parla di complotto giudiziario.

 

«Visto il quadro che sta emergendo è sempre più difficile sostenere una simile teoria. Si delinea invece con evidenza la figura di un leader che, in ragione della sua ricchezza e della sua forza politica, ha pensato e agito come se fosse al di sopra delle regole che riguardano ogni cittadino. Ora siamo al redde rationem. Siccome il Pdl appare prigioniero di un rapporto di tipo carismatico-proprietario e non in grado di delineare una prospettiva del centrodestra italiano oltre Berlusconi, temo che avremo mesi molto difficili». 

Le condizioni perché il governo li superi indenne, secondo lei?


«Primo, serve quello che con un’espressione antica, che può anche non piacere, si potrebbe definire una seria verifica. Bisogna cioè fare il punto e arrivare a una stretta di cui le premesse vanno fissate ora e che poi all’inizio di settembre deve potersi anche formalizzare». 

Sta dicendo che il governo deve ridefinire i suoi obiettivi?

 

«Si deve precisare la mission di questo governo, stabilendo i tempi e le priorità su cui esso deve concentrare la sua azione, senza che nessuno possa proporre riforme estranee al programma, com’è il caso di quella riguardante la giustizia. Questione su cui non mi pare esistano, oggi a maggior ragione, condizioni per un’intesa».

Nel Pdl sostengono che sono necessari atti di pacificazione.

 

«Questo è un governo di necessità ed è un governo di scopo. Non di pacificazione nazionale, o chissà cos’altro. È un governo nato dall’emergenza e che ha finalità molto precise e circoscritte: accompagnare e sostenere una possibile ripresa dell’economia, combattere la disoccupazione, anche sollecitando una rinnovata e vigorosa azione europea».

Si era detto che con questo governo si sarebbero anche dovute approvare le riforme costituzionali e una nuova legge elettorale.

 

«E infatti questa è la seconda questione da affrontare subito. Ai fini della vita del governo, è necessario che ci sia un’intesa su questi punti. Se dovesse riaprirsi una disputa sul presidenzialismo, verrebbero meno le condizioni per andare avanti. Quindi è molto importante che anzitutto il lavoro dei saggi produca al più presto, già a settembre, una base condivisa lungo la via di una razionalizzazione del sistema parlamentare e di un rafforzamento del capo del governo e dei suoi poteri. D’altro canto, su questa base si era già delineata una possibile intesa nel corso della precedente legislatura e non sarebbe ragionevole buttarla per aria».

Via alle riforme e poi si discute la legge elettorale, come sostiene il Pdl?

 

«No, noi dobbiamo chiedere che la riforma elettorale e la riforma costituzionale partano insieme».

Lo sa, vero, che ci sarà chi dirà che sta ponendo delle condizioni buone per far cadere il governo?

 

«Ma figuriamoci, queste sono le condizioni perché il governo vada avanti, funzioni secondo le finalità per le quali è nato. E noi dobbiamo incoraggiare il presidente del Consiglio ad avviare questa operazione».

Nel suo partito c’è chi sostiene che, vista la delicatezza della situazione, sia meglio rinviare il congresso del Pd: secondo lei?

 

«A maggior ragione, vista la situazione, abbiamo bisogno di un congresso. Per noi è anche l’occasione perché emerga una visione del futuro, oltre questa fase di emergenza che stiamo vivendo. Noi dobbiamo immaginare l’Italia degli anni a venire, che guardi molto all’Europa e che sia guidata da un rinnovato centrosinistra. Che non sarà solo il Pd». 

Che cosa vuole dire?

 

«Dobbiamo fare un congresso che parli anche oltre i confini del partito. Il Pd è nato su un’ipotesi che era del tutto ragionevole, ma che non si è realizzata. Un’ipotesi legata a una visione presidenzialista e bipartitica, all’americana. Ma in Italia non si è realizzato né il presidenzialismo né il bipartitismo, e anzi anche il bipolarismo sta vivendo una fase di crisi. Il Pd deve quindi ripensarsi come la forza fondamentale attorno a cui costruire un nuovo centrosinistra».

Ma con quali partiti, visto che oggi voi siete in maggioranza e Sel è all’opposizione?

 

«Le alleanze politiche sono indispensabili, e dovremo ritesserle sia guardando a sinistra che al centro. Ma io penso ad una coalizione che inevitabilmente sarà anche civica, un po’ come quelle che si formano nelle città attorno a un candidato sindaco». 

A proposito di candidati: dopo queste reazioni del Pdl, conviene eleggere un segretario che non sia già candidato premier?

 

«Noi dobbiamo ragionare sulle condizioni per mettere a punto la missione del governo che, come dicevo, consistono in un piano di sostegno alla ripresa e per il lavoro, e un pacchetto di riforme condivise. Non su altri scenari. Ma oltre a questo, se dobbiamo ripensare il ruolo del partito come forza promotrice di un centrosinistra più ampio, se il Pd rappresenta un nucleo fondamentale ma non esclusivo, a maggior ragione l’identificazione tra segretario del partito e leader della coalizione non funziona. Ci batteremo affinché Il candidato premier sia espressione del nostro partito. Ma ci saranno le primarie e non dipenderà solo da noi. Anche perché io penso a vere primarie di coalizione. E se questa alleanza sarà ampia, se coinvolgerà personalità della società civile, le primarie non potranno essere predeterminate dalla leadership del Pd».

Il congresso dovrà anche sciogliere il nodo se il Pd debba essere un partito aperto: non è vostro interesse far partecipare la platea più ampia possibile alla scelta del segretario, come dicono i renziani?

 

«Il problema non è partito aperto o partito chiuso. La questione è partito sì, partito no. E il partito plebiscitario è un non partito. In realtà, il partito del leader, cioè quello che attraverso una sorta di referendum aperto a tutti elegge il suo leader, non è affatto un partito aperto. È chiuso, chiusissimo. Una volta che ha scelto il leader si identifica in esso. Fine. Normalmente non ha alcuna forma di vita democratica interna. Adesso dobbiamo costruire un partito aperto, ma che sia un partito vero, in cui ci siano discussioni politiche, analisi, e in cui ci sia un coinvolgimento effettivo degli iscritti sulle scelte da compiere, non soltanto al momento della scelta delle persone». 

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