Estratto dalla prefazione alla nuova edizione di "A Mosca l'ultima volta. In viaggio con Enrico Berlinguer" in uscita il 4 novembre.
Edizioni Solferino.
Questo libro fu pubblicato nel 2004, a venti anni dal- la
scomparsa di Enrico Berlinguer. Sono trascorsi ormai quasi altri venti anni.
Eppure la casa editrice Solferino ha voluto ripubblicarlo. Sono grato per questa
iniziativa, e ringrazio Carmine Donzelli che ha acconsentito. Non l’ho
considerata come un atto di attenzione verso l’autore, quanto un gesto di
omaggio verso Enrico Berlinguer, nel momento in cui volge a conclusione l’anno
del centenario della sua nascita. In queste pagine c’e` il racconto di un
viaggio, in parte tratto dal diario che ne feci allora, nel 1984. E c’e` an-
che il ricordo degli ultimi mesi di vita di Berlinguer. Non e` un saggio, e` un
racconto, ma puo` forse aiutare a comprendere alcuni tratti della sua persona,
del- la sua umanita`.
Per chi ha conosciuto Enrico Berlinguer e lo ha vissuto come
una guida nel corso della sua giovinezza, ricordarlo non e` soltanto un dovere
ma e` anche l’occasione per ripensare a una personalita` straordina- ria in
grado di trasmettere un messaggio al mondo di oggi.
Egli e` stato uno dei maggiori protagonisti della sto- ria
dell’Italia repubblicana e, certamente, nella gene- razione che venne dopo
quella dei padri fondatori e` stato, insieme ad Aldo Moro, il protagonista piu`
significativo. Nello stesso tempo, Berlinguer e` stato il leader del piu`
grande partito comunista dell’Occidente, riferimento indiscusso di un comunismo
eretico di- stinto e via via sempre piu` contrapposto rispetto al modello
sovietico. Stiamo parlando della Prima Re- pubblica e stiamo parlando del
comunismo, cioe` di due mondi che non ci sono piu`. Il mondo di Berlinguer si
e` dissolto. Si e` dissolto, in realta`, pochi anni dopo la sua morte. La
singolarita` della sua vicenda politica e umana sta nel fatto che egli ebbe una
percezione acuta, direi drammatica, della crisi del suo mondo, e tutto il suo
impegno fu cercare una risposta a questa crisi. Innanzitutto alla crisi della
demo- crazia italiana, attraverso una rigenerazione dei partiti e del loro
rapporto con la societa`; e in secondo luogo alla crisi del comunismo, cercando
di mette- re in campo il progetto utopistico di un comunismo democratico.
Egli fu sconfitto. E` un leader sconfitto nel suo duplice
tentativo di salvare la Repubblica dei partiti, rifondandola, e di dare una
prospettiva diversa al movimento comunista. Tuttavia, nella sua battaglia, fu
in grado di gettare dei semi, di mettere in campo dei
pensieri lunghi. E` stato definito come un uomo politico che
non vedeva bene le cose del suo tempo ma seppe spingere lo sguardo oltre il
tempo che viveva. Ha lasciato una traccia, e per questo la sua figura e` in
grado di parlare anche al mondo di oggi e persino a una generazione che non lo
ha mai conosciuto o che lo ha conosciuto soltanto attraverso la memoria dei
padri o il racconto dei nonni.
Naturalmente non e` facile parlare di Berlinguer per chi lo
ha vissuto e per chi ha mantenuto nella propria vita l’impronta, il fascino
della sua personalita`, che era molto legato al contrasto tra l’apparente
fragilita`, la timidezza, il garbo che aveva nel rap- porto umano e la forza
estrema della sua personalita`, persino la sua testardaggine e il suo candore.
Io potrei abbandonarmi a una vasta aneddotica, che sarebbe forse anche
divertente, ma ve ne risparmiero` il 99 per cento. Il suo senso dell’ironia,
che non appariva tanto in pubblico ma era molto profondo, la sua onesta`
trasparente, sono aspetti che ricordero` tutta la vita.
Rimasi colpito, una mattina a Milano, nell’albergo che
ospitava la direzione del partito in occasione della Festa nazionale
dell’«Unita`». Scendendo a fa- re colazione incontrammo i calciatori della
Juventus e – eravamo all’apice della popolarita` di Berlinguer – tutta la
squadra e Boniperti gli si fecero intorno per dire quanto si sentissero onorati
che lui simpatizzasse per la Juventus. Non era vero, tuttavia in quel momento
qualsiasi uomo politico del mondo avrebbe sorriso e si sarebbe preso il
complimento. Berlinguer disse: «No, no,» con un certo imbarazzo «io tifo per il
Cagliari». Era incredibile, ma non poteva accetta- re la menzogna, in nessuna
forma, neanche quando questa era, in fondo, innocente e conveniente.
Chi ha conosciuto Berlinguer e lo ricorda cosi` da vicino fa
fatica a parlarne con il distanziamento critico della dimensione di un giudizio
storico, come e` inevitabile che si debba fare oggi.
Devo ammettere che tornare a pensare a Berlinguer suscita un
sentimento pericoloso che e` la nostalgia. «Nostalgia» e` una parola molto
complessa perche´ ha dentro la sua radice il dolore, e` quasi come se fosse una
malattia – la nostalgia, la sciatalgia, la nevralgia – quindi e` un termine da
maneggiare con cura. Io mi so- no informato sulla nostalgia, perche´ capita a
questa eta` di esserne preda, e ho scoperto con grande conforto per me che,
secondo le ricerche piu` recenti, tra cui un saggio clinico molto importante,
«la nostalgia e` una risorsa esistenziale e che quel tanto di tristezza che
porta con se´ si mescola insieme all’appagamento per quello che si e` vissuto e
quindi migliora l’umore».1 Quindi io mi abbandono felicemente alla
nostalgia, confortato dalla ricerca che la rende piu` accettabile, poiche´
migliora l’umore e migliora, pare, anche la convivenza con gli altri. Ma
uscendo da queste considerazioni personali vorrei tornare al periodo storico su
cui ho concentrato la mia riflessione, e di cui Berlinguer e` stato un grande
protagonista: dal 1968 fino alla sua morte, nell’84. Sono sedici anni cruciali
della storia d’Italia e della storia del mondo, che vanno, per quanto riguarda
il mondo comunista, dalla Primavera di Praga fino alla nomina di C?ernenko alla
guida del Pcus, di cui noi fummo testimoni, perche´ Berlinguer era a Mosca e io
lo accompagnai insieme a Paolo Bufalini.
Sono i sedici anni in cui, dalla sconfitta del grande
tentativo di dare vita a un comunismo diverso a Praga, schiacciato dai carri
armati, fino a C?ernenko, si consuma il declino, l’esaurimento della spinta
propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre. In Italia sono gli an- ni che segnano
l’apogeo e l’inizio della sconfitta del Partito comunista, l’ascesa, sull’onda
delle lotte del ’68, delle lotte operaie del ’69 che il Partito comuni- sta
seppe interpretare e poi la sconfitta della solidarieta` nazionale, l’inizio di
un’altra stagione.
Come visse Berlinguer questa transizione? Berlinguer era
sostanzialmente estraneo al mondo sovietico, estraneo per cultura, persino per
antropologia; quel mondo gli dava fastidio. Ricordo nelle pagine che seguono
che durante questo suo ultimo viaggio a Mosca, nel freddo febbraio del 1984,
Berlinguer era talmente infastidito dall’idea che lo fotografassero con il
colbacco che si era portato da casa un cappellino ti- rolese, abbastanza
ridicolo in quel contesto, ma dal quale non volle mai separarsi. Ma non era
solo questo che lo divideva da quel mondo. Io ricordo benissimo una sera a casa
di Giulietto Chiesa, quando con- versando del mondo che doveva venire lui
disse: «Questo mondo non ha futuro».
Da quel mondo Berlinguer era considerato un avversario, un
avversario pericoloso e fu combattuto con qualsiasi mezzo. E` stato ricostruito
come i sovietici abbiano finanziato e sostenuto ogni forma di op- posizione a
Berlinguer nel nostro Paese. Secondo la testimonianza piu` recente di Emanuele
Macaluso, an- che il terribile incidente in cui Berlinguer rischio` di perdere
la vita in Bulgaria, che e` sempre stato circondato da un certo mistero,
diciamo cosi`, non sembrerebbe essere stato un fatto casuale.
Berlinguer, di fronte alla crisi del movimento comunista, si
sforzo` di elaborare una nuova visione dell’internazionalismo, moltiplicando le
relazioni tra il Pci e i movimenti di liberazione del terzo mondo e le
socialdemocrazie. Una nuova visione che egli chiamo` «eurocomunismo», intesa a
proporre una conciliazione tra comunismo e democrazia. Questa sua opera non
ebbe successo, l’eurocomunismo sostanzialmente naufrago`, ma lascio` un segno
anche nel mondo sovietico. Certo, i risultati arrivarono troppo tardi, ma
Gorbac?e¨v, per esempio, disse apertamente di considerare Berlinguer, che egli
non conobbe mai, come una fonte d’ispirazione per le scelte coraggiose che
compi` e che posero fine al sistema sovietico. Il paradosso del- la vicenda di
Berlinguer e` che, mentre allargava le re- lazioni del suo partito e si muoveva
su un terreno nuovo, rimase sempre legato a una ispirazione comuni- sta. Forse
alcuni di voi ricordano quello che disse a Minoli, quando, interrogato su cio`
che lo rendesse piu` orgoglioso, rispose: «Essere sempre rimasto legato agli
ideali della mia giovinezza».
In questo modo, via via, il Pci di Berlinguer si tro- vo` a
essere sempre piu` isolato nel movimento comunista, ma mai sostanzialmente
accolto nella sinistra democratica europea. Questo fu, se volete, il fascino,
ma anche il limite della sua esperienza. Il paradosso del tempo di Berlinguer
e` che il Pci, che si era ricostituito in Italia nel segno del realismo
togliattiano – Togliatti seppe stare contemporaneamente con Stalin e con
Badoglio –, si trovo` a essere una forza isolata nel segno dell’utopia
berlingueriana, perche´ Berlinguer ruppe con i sovietici nettamente ma non
convinse gli americani che rimasero diffidenti e ostili verso una forza che
manteneva un’impronta comunista. Quindi, nel momento piu` difficile e cruciale
della storia del- la Repubblica, cioe` la seconda meta` degli anni Settanta, il
Pci si trovo` a essere sostanzialmente isolato e a dover fare i conti con la
ostilita` e la diffidenza delle due maggiori potenze. Questo destino accomuno`
Berlinguer ad Aldo Moro, perche´ anche nei confronti di Moro ci furono
l’ostilita` e la diffidenza delle due maggiori potenze. E, per un Paese come
l’Italia, che e` sempre stato nella fragilita` della sua identita` nazionale
molto dipendente dagli equilibri internazionali, questo peso` molto, e lo dico
perche´ credo che la storio- grafia abbia forse riflettuto poco su questo
aspetto.
Fu una delle ragioni per cui presero forza fenomeni
eversivi, che arrivarono a minacciare la democrazia, e una delle ragioni per
cui falli` il tentativo che accomuno` Moro e Berlinguer di rigenerare il
sistema democratico nello spirito della Costituzione del 1948. Il compromesso
storico fu chiamato da Berlinguer un «nuovo» compromesso storico e il
riferimento era proprio alla Costituzione del 1948, cioe` l’intesa a fondamento
della Repubblica democratica. Quando egli, parlando con Scalfari, spiego`
cos’era il compromesso storico non disse che l’obiettivo fosse fare il governo
tutti insieme; disse che si trattava di ritrovare uno slancio comune di tutte
le forze politiche per rigenerare e rinnovare il nostro Paese; poi maggioranza
e opposi- zioni avrebbero potuto cambiare, ma nell’ambito di un impegno comune
per l’avvenire dell’Italia. Questo tentativo falli`.
In realta`, io credo, il grande problema italiano nel corso
degli anni Settanta era quello di offrire al Paese la possibilita` di
un’alternativa democratica e di una fuoriuscita dalla democrazia bloccata.
Contrariamente alla massima cinica dell’onorevole Andreotti, secondo il quale
«il potere logora chi non ce l’ha», in realta` la fissita` dei ruoli, l’assenza
di un ricambio di classe dirigente fini` per logorare, nel suo insieme, il sistema
democratico. Il Pci non fu in grado di dare una risposta all’esigenza di un
rinnovamento, non solo per la durezza dei condizionamenti internazionali ma anche
perche´ rimase prigioniero della sua identita` di forza comunista.
Dopo il ’68, il cambiamento politico avviene in qua- si
tutti i grandi Paesi europei. E` dopo il ’68 che la socialdemocrazia, con Willy
Brandt, va al governo in Germania, dove nel dopoguerra avevano governato i
conservatori, ed e` dopo il ’68, con un certo ritardo tuttavia, che Mitterrand
vince le elezioni in Francia e per la prima volta in quel Paese la sinistra va
al go- verno. Quello che cioe` nel dopoguerra avviene nel re- sto d’Europa,
fisiologicamente, dopo il predominio dei conservatori, in Italia non avviene. E
non puo` avvenire perche´ la sinistra italiana non e` in grado di offrire al
Paese questa possibilita` e la crisi della sinistra italiana si consuma nel
conflitto fra i due duellanti, che sono stati come i protagonisti di quello
straordinario racconto di Conrad: Berlinguer e Craxi.
L’Italia aveva bisogno di una sinistra capace di essere
radicata nella societa`, capace di rappresentare il mondo del lavoro ma anche
il nuovo spirito pubbli- co che si era formato dopo il ’68 e questo era Berlinguer:
il leader in grado di interpretare questa necessita` di cambiamento della
societa` italiana, quindi una visione nuova della politica. Ma l’Italia aveva
anche bisogno di una sinistra capace di costruire un’alter- nativa politica di
governo, di mettere da parte l’impianto consociativo che si era costruito nel rapporto
tra i partiti e individuare le necessarie innovazioni di carattere
istituzionale in grado di favorire il ricambio della classe dirigente, e questi
furono i problemi posti da Craxi. In realta`, paradossalmente, i due leader
presentavano le due facce di una esigenza che non seppe mai comporsi in un
disegno unita- rio, ma si lacero` in un conflitto drammatico. L’esito fu che la
sinistra dei valori di Berlinguer rimase prigioniera di una idea della
diversita` comunista improduttiva rispetto alla svolta politica necessaria per
il Paese; e la sinistra della governabilita` di Craxi, separata dai valori,
affondo` nella melma del vecchio sistema di potere.
Questo e` stato il dramma della sinistra italiana de- gli
anni Ottanta. Io fui assolutamente partigiano in quegli anni, e non me ne
pento. Ma oggi, che e` passa- to molto tempo, credo che si debba guardare con
maggiore distacco alle ragioni di una sconfitta le cui responsabilita` non
stavano da una parte sola. Quella sconfitta della sinistra, quella incapacita`
della sinistra di provvedere al compito storico di costruire un’alter- nativa
alla Democrazia cristiana e ai suoi governi, e` stata una delle cause del modo
in cui e` caduta la Pri- ma Repubblica.
Una riflessione storica e` tornata di recente, anche
nell’anniversario di Mani Pulite, a ragionare sul modo in cui e` caduta la
Prima Repubblica, cioe` al segno antipolitico che ebbe quella crisi di rigetto
del sistema dei partiti nel suo insieme e al prezzo che il Paese ha pagato, e
tuttora paga, all’impronta antipolitica che segno` la fine della Repubblica dei
partiti. Vedete, e` passato molto tempo, ma forse possiamo capire, guardando
proprio all’Italia di oggi, perche´ una personalita` come Enrico Berlinguer, un
uomo del quale descrivo in questo libro le battaglie e le sconfitte, molto
sommariamente, possa avere qui e ora un significato. Io credo che queste
ragioni siano sostanzialmente tre.
La prima e` che il Paese avverte un bisogno di tornare alla
politica, dopo anni di logoramento dei partiti e delle istituzioni. Anche le
crisi che stiamo vivendo, la pandemia, la guerra, rimettono in campo un bi-
sogno di politica. Vacilla l’idea che la politica sia un mestiere inutile, un
lavoro di gente che non ha niente da fare, l’idea che sia preferibile lasciare
il campo alla societa` civile. Abbiamo avuto un tempo in cui in una campagna
elettorale per diventare sindaco, lo ricordo bene, i manifesti dicevano:
«Votate per me, non sono un politico». Benedetto Croce, in una pagina non
dimenticabile, paragonava questa affermazione a quel- la di chi dicesse:
«Fatevi operare da me, non sono un chirurgo». Oggi si torna ad avere un bisogno
della politica e Berlinguer e` stato un uomo politico. Ha saputo unire la
politica alla vita, alle passioni, ai sentimenti delle persone piu` semplici,
ma e` stato un politico a tutto tondo, con un’idea austera, seria della
politica, dell’organizzazione, della formazione della classe di- rigente, della
selezione dall’alto della classe dirigente. Il Partito comunista era una
scuola, cosi` come, dall’altra parte, le organizzazioni cattoliche erano scuole
di formazione e di selezione. Tutto questo non c’e` piu` e probabilmente in
quelle forme non potra` rinascere, tuttavia il Paese avverte il bisogno che
torni a esserci una classe dirigente che abbia una forma- zione politica, e che
non sia semplicemente l’espressione casuale della cosiddetta societa` civile,
acritica- mente esaltata per molti anni ma di cui conosciamo qualita` e
difetti.
Berlinguer avverti` acutamente il rischio che la trasformazione
della societa` e il carattere pervasivo dei nuovi mezzi di comunicazione
finissero per indebolire i legami e le idealita` che sono alla base della partecipazione
attiva alla vita democratica. Egli disse che un mondo nel quale la politica si
riducesse solo al vo- to e ai sondaggi rappresenterebbe una negazione
dell’essenza stessa della vita democratica. Il compito dei partiti avrebbe
dovuto essere proprio quello di evi- tare questo impoverimento: «Non solo della
vita politica, ma della vita dell’uomo in generale». Sollecita- va innanzitutto
il suo partito a guardare in modo aperto ai movimenti pacifisti, ai movimenti
ecologisti e a tutte le forme di partecipazione che, in particolare nel mondo giovanile
e fra le donne, si sviluppavano al di fuori delle forme tradizionali della
politica. Insomma, egli percepi` la crisi e indico` delle risposte. E forse da
li` bisognerebbe ricominciare, essendo ormai chiaro che la liquidazione dei
partiti ha lasciato spazio sol- tanto al populismo e alla tecnocrazia, che non
sono due poli contrapposti, ma le due facce della stessa crisi della
democrazia.
La seconda ragione di questa «attualita`» di Berlinguer e`
legata al fatto che, nello sforzo di ridare un fondamento ideale al suo partito
nel momento in cui il suo fondamento originario veniva estinguendosi – perche´
anche noi eravamo figli della Rivoluzione d’Ottobre e quando si esauri` quella
spinta propulsiva questo non valeva solo per loro, valeva per tutti – e nello
sforzo di inventarsi un comunismo nuovo, Berlinguer ha sviluppato una critica
acuta e intelligente del capitalismo contemporaneo, che si e` spinta mol- to
oltre i confini culturali della tradizione comunista e marxista. E` stato il
leader politico che ha capito in modo piu` profondo la portata rivoluzionaria
della nuova coscienza femminile. La cultura femminista comprese il valore del
«turbamento» di Berlinguer, di quel sentimento di sorpresa e di indignazione
per il fatto che la sopraffazione e l’ingiustizia contro le donne avesse- ro
potuto esistere sotto i suoi occhi, senza che lui, democratico e comunista, se
ne rendesse conto. Ed egli comprese anche che la rivoluzione femminista non mirava
a cambiare la politica e le istituzioni, ma la vita stessa delle persone. Ci fu
in lui la comprensione piena di quanto la sfida della conservazione e della
tutela dell’ambiente mettesse in discussione un modello di sviluppo e imponesse
una svolta radicale. Non si puo` intendere altrimenti il significato autentico
del suo riferimento al tema dell’austerita`. Cosi` come Berlinguer comprese, al
pari di Willy Brandt, che la contraddizione tra Nord e Sud del mondo diventava
centrale nell’e- poca del capitalismo globale.
Berlinguer e` stato descritto come un leader antimoderno.
Non e` vero: egli vide le potenzialita` della gran- de rivoluzione tecnologica,
ma non in modo acritico e apologetico. «Questi nuovi mezzi danno maggiori
possibilita` di arrivare a una dimensione onnilaterale dell’uomo proprio
perche´ sono portatori di un’enorme arricchimento delle conoscenze» disse. Ma
e` an- che vero che non gli sfuggiva il rischio che la rivoluzione
«elettronica» (oggi la definiremmo digitale) potesse portare a nuove
drammatiche diseguaglianze e a una concentrazione mai vista di ricchezza e di
potere nelle mani di una ristretta oligarchia. Insomma, di fronte alle grandi
trasformazioni che gia` allora si annunciavano come portato della
globalizzazione capitalistica e della rivoluzione scientifica e tecnologi- ca,
Berlinguer metteva l’accento sulla necessita` di una politica forte «investita
di pensieri lunghi e di progetti». Nello stesso tempo egli colse il tema del
rapporto tra umanita`, persona e nuove tecnologie, anche per- che´ questo tema
della persona era fortissimo in lui, per l’attenzione che ebbe sempre al mondo
cattolico, concependo per la prima volta nella storia del Pci il rapporto con i
cattolici non come tema di alleanza, ma come comunanza di valori.
Oggi, parliamoci chiaro, svanita la grande ubriacatura della
globalizzazione capitalistica che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi,
noi riscopriamo il peso delle diseguaglianze, le aree di marginalita`, di
infelicita`. Vediamo quanto e` determinante la questione della sostenibilita`
per una strategia di sviluppo che non puo` piu` non porsi questo problema.
Insomma, torna il bi- sogno di una cultura critica della societa` attuale che
non sia prigioniera di miti escatologici, ma che sia comunque in grado di
nutrire la politica di una critica dell’esistente, perche´ senza una visione
critica dell’esistente non c’e` un progetto di cambiamento, non c’e` la
politica, c’e` soltanto la gestione amministrativa della realta`. Non e` forse
questa la ragione della crisi della sinistra democratica in Europa? L’assenza
di una visione critica dello sviluppo, l’incapacita` quindi di presentarsi come
una forza di cambiamento.
Il termine stesso «riformismo» ha progressivamente assunto
un significato radicalmente rovesciato ri- spetto alle sue origini. Riformista
era chi si batteva per condizionare lo sviluppo capitalistico al fine di
renderlo compatibile con la giustizia sociale e con la tutela dei piu` deboli.
Oggi si definisce riformista una politica che punta a adattare la societa` alle
esigenze di valorizzazione del capitale nell’epoca della finanziarizzazione e
della globalizzazione. Non e` sor- prendente che questo tipo di riformismo
susciti una reazione popolare e un senso di rivolta che la destra raccoglie in
chiave nazionalista e antimoderna. Ma dall’altra parte non vi e` alcuna
alternativa, perche´ la sinistra democratica appare semplicemente come garante
dello status quo. Non e` sorprendente che il suo messaggio arrivi ormai quasi
esclusivamente a quel mondo di borghesia urbana, intellettuale e professionale
che vive la globalizzazione come un accrescimento delle sue possibilita` e non
come una minaccia nei confronti di diritti faticosamente acquisiti nel corso
del secolo passato.
Ma puo` esistere una forza di sinistra che non colti- vi un
progetto di trasformazione sociale? E` stato scritto che la politica e` un filo
teso tra la realta` e l’utopia.
Ma se viene espunta ogni utopia – quella che Pasoli- ni con
il titolo di un suo bellissimo romanzo giovani- le chiamo` «il sogno di una
cosa» – viene meno anche ogni capacita` di attrarre e mobilitare le energie
piu` profonde della societa` e in particolare quelle del mondo giovanile.
Berlinguer seppe interpretare molto bene questo rapporto tra realismo politico,
speranza e visione del futuro. E forse anche percio` si sente il bisogno, oggi,
di tornare a riflettere sulla sua esperienza e sul suo contributo.
Infine – ed e` la terza ragione dell’attualita` della figura
di Berlinguer – si avverte anche, particolarmente nella crisi di oggi, il
fascino delle sue qualita` umane. Mai come ora viviamo in societa` in cui si fa
mol- to forte il bisogno di riferimenti ideali e anche di personalita` in grado
di rappresentare una guida e un esempio. Berlinguer e` stato una personalita`
straordinaria, «un uomo non scisso» scrisse Giuseppe Fiori, «non solo un
predicatore di giustizia, ma un uomo giusto». Una persona con cui si poteva
essere d’accordo o meno, ma avendo la percezione che dicesse esattamente quello
che pensava: la percezione di una per- sona autentica, che gli attiro` la stima
e la considera- zione direi universale del Paese.
Io ricordo ancora con una certa emozione quando Pajetta si
precipito` di corsa fuori da Botteghe Oscure, dove ci trovavamo dopo la morte
di Berlinguer, perche´ ci avevano detto che Almirante si era messo in fila in
mezzo ai comunisti nella camera ardente e noi avemmo paura che succedesse
qualcosa. Pajetta scese e accompagno` il capo del Movimento sociale che sentiva
il dovere di rendere omaggio alla salma del segretario del Partito comunista.
Un gesto che nell’Italia di oggi sarebbe difficilmente pensabile.
La battaglia di Berlinguer contro lo spirito del tempo, la
fedelta` ai suoi ideali, ne hanno fatto una figura in grado di comunicare un
messaggio di speranza, di coerenza, reso ancora piu` forte dal fatto che egli
porto` il suo impegno, la sua dedizione fino all’ultimo sacrificio. Il fatto
che sia «morto in battaglia» lo rende eterno. E quella immagine di Berlinguer
che bar- colla sul palco, e tuttavia vuole finire il suo comizio, e`
un’immagine terribile ma anche straordinaria.
Io, che gli ho voluto bene, non voglio lasciarlo con questa
immagine, ma con un’altra molto piu` bella. Quando Giovanni Minoli gli chiese:
«Qual e` la critica che la disturba di piu`?» lui rispose: «Quando di- cono che
sono triste». E aggiunse: «Perche´ non e` vero». E sorrise.
Quel sorriso e` il ricordo di Berlinguer che porto con me.
1.
Clay Routledge, Jamie Arndt, Constantine
Sedikides, Tim Wildschut, A blast from the past: The terror management function
of nostalgia, in «Journal of Experimental Psychology», vol. 1, gennaio 2008,
pp. 132-140.