Nella
storia dell'impresa in Italia, alla fine degli anni Novanta Roberto Colaninino
e Massimo D'Alema, allora a Palazzo Chigi, legarono i loro nomi ad un'impresa complicata
ed ambiziosa, l'Opa su Telecom, attraverso la quale una nuova leva
imprenditorial-finanziaria puntava ad affiancare - e in prospettiva scalzare - l'establishment
del dopoguerra e di quell’occasionale compagno di viaggio, D’Alema ha un
ricordo forte: «Devo dire la verità: credo che sia una perdita significativa
per l'economia italiana: oramai non abbiamo più, tra i grandi, molti imprenditori-produttori,
che cioè abbiano un interesse preminente per la produzione di beni. In
occasione dell'Opa su Telecom, Colaninno fu protagonista di un'operazione senza
precedenti: in Italia mai una grande impresa era passata di mano sul mercato,
ma sempre attraverso i salotti».
Sono passati 24
anni dalla celebre Opa Telecom ad opera del "capitani coraggiosi", da
allora se ne è molto discettato e tra i principali protagonisti ci fu una
strana coppia: il primo presidente comunista della storia d'Italia e quel figlio
di un sottufficiale dell'esercito e di una sarta, che aveva studiato ragioneria
e aveva dovuto smettere l'Università a Parma per iniziare a lavorare. Roberto
Colaninno aveva mostrato subito di saperci fare alla guida di piccole e grandi
imprese, fino a quando alla fine degli anni Novanta, consigliato da banchieri
d'affari interessati a guadagnare commissioni miliardarie, si era deciso al
grande passo: tentare la conquista di Telecom.
A
Palazzo Chigi piaceva l'idea di campioni nazionali capaci di conquistarsi un
posto al sole e questa simpatia ha incoraggiato dietrologie di ogni tipo sul
rapporto personale tra Colaninno e D'Alema. L'ex presidente del Consiglio affronta
l'argomento con un sorriso divertito, privo del proverbiale sarcasmo: «Quando
lui fece la famosa Opa, io non lo conoscevo personalmente, cosa alla quale non
credeva nessuno e tutti si facevano matte risate, ma in realtà diversi anni
dopo Colaninno mi disse: Caro D'Alema hanno messo in giro la voce che avrei
pagato tangenti per Telecom e noi sappiamo come stanno le cose e perciò ti
chiedo: ti posso offrire una cena?". Un aneddoto che D'Alema corona così:
«Ricordo che andammo a cena con le nostre famiglie», Da Palazzo Chigi, che
allora qualcuno vedeva come una merchant bank, Colaninno era apprezzato, con
l'idea che - se ce l'avesse fatta - avrebbe potuto svecchiare il capitalismo
nostrano. Il ragioniere mantovano divenne il beniamino dei day trader e dei piccoli
azionisti e oggi, a freddo Massimo D'Alema chiosa cosi: «Parliamoci chiaro: in
Italia mai una grande impresa era stata acquisita sul mercato, ma sempre
attraverso i salotti. Era un'operazione di mercato in un contesto di capitalismo
asfittico e controllato da pochi. Ricordo che dissi ad Umberto Agnelli: il
governo non c' entra e se lo ritenete possibile, perchè non fate una
controfferta?»,
Operazione con
forti margini di rischio, legata ad una scommessa: colmare il forte debito del
passato con gli utili del futuro. E infatti non mancarono le riserve, a
cominciare da quella di Draghi, allora direttore generale del Tesoro. Ricorda
D'Alema: «La linea del governo ovviamente la decidemmo assieme. Avevo come
ministro dell'Economia Carlo Azeglio Ciampi, che non era precisamente uno che
facesse quel che dicevo io. Con lui discutevamo con grande rispetto reciproco.
L'idea in definitiva era questa: se davanti ad un'operazione di mercato, il
governo fosse intervenuto per impedirla, sarebbe stato un messaggio molto
antipatico, che avrebbe potuto allontanare investitori stranieri».
Lo Stato avrebbe
potuto far valere i propri "diritti" su una azienda strategica come
Telecom? D'Alema obietta: «Avremmo potuto far leva su una piccola quota
pubblica, ma come avremmo potuto opporre un interesse strategico del Paese,
quando un gruppo di italiani voleva comparsi un'azienda italiana? Capisco, se
fossero stati ostrogoti…»,
Presa la Telecom,
Colaninno si ritrovò a svolgere molti diversi mestieri - imprenditore, manager,
socio-gestore – e alla fine fu indotto dagli altri a mollare e per D'Alema la
chiave della storia è chiara: «Il problema vero era la fragilità della cordata,
nella quale c'erano altri che avevano interessi prettamente finanziari. Colaninno
no, aveva un progetto industriale, che era anche moderno. Poi gli mancarono i
mezzi per sostenerlo. Il sistema non lo sostenne perché era un outsider che
aveva dato fastidio al vecchio potere».
Anche i capitani
coraggiosi divisi com’erano – aspettare l'ora della plusvalenza o farne una
grande azienda - passarono la mano. Per D'Alema, «Colaninno avrebbe dato
un'impronta diversa alla storia delle tlc nel nostro Paese». E dunque quale è
stata la sua cifra imprenditoriale ed umana? «Anche alla Piaggio ha dimostrato
di essere un industriale e di non essere uno speculatore. Era un uomo
estremamente perbene».