all’ex presidente del Consiglio la sua valutazione
sull’indagine che al momento riguarda anche lui, in merito al tentativo di
vendita alla Colombia di navi e aerei di Leonardo e Fincantieri. Dice D’Alema: “Non
commento vicende giudiziarie in corso sui giornali, mi riprometto la totale
infondatezza delle accuse in sede proprie.”
Partiamo dalla fine degli anni Sessanta,
l’Italia era nel clima vibrante del Sessantotto e della prima fase della strategia
della tensione: come si accese l’attenzione su un Paese piccolo e lontanissimo
come il Cile?
“Il Cile era un Paese evoluto, aveva un sistema
politico molto legato a quello europeo: c’erano la Dc, i comunisti, i
socialisti. Per noi del Pci rappresentò l’esperimento di un’avanzata democratica
verso il socialismo non solo in un Paese occidentale ma collocato addirittura
nel “cortile di casa” degli Stati Uniti. La strategia democratica era la nostra
strategia e il Cile rappresentava la prova che tutto questo si poteva fare”.
E infatti Allende, socialista legalitario,
non fece un “golpe rosso” preventivo: una lezione permanente?
“Allende era una democratico, ma l’esperienza di
Unidad popular fu segnata anche da spinte radicali, che favorirono gli
argomenti della destra e il colpo di Stato avvenne sull’onda di un’ondata
reazionaria, che ebbe anche una base popolare”.
Il golpe ebbe un effetto choc solo sul
Pci?
“Dal 1973 la politica del Pci si muove a partire da un
lungo articolo di Enrico Berlinguer, pubblicato su Rinascita, che si
intitola “Riflessione sui fatti del Cile”. Una riflessione che spinse il Pci a prendere
atto che in un mondo diviso dalla guerra fredda, in un Paese dell’Occidente un’alternativa
seccamente di sinistra non era realistica e occorreva fare un’alleanza con
forze come la Dc. Ma i fatti del Cile spinsero anche frange della sinistra a
radicalizzarsi, ritenendo che la via della democrazia fosse preclusa”.
Gli esuli cileni si sono ritrovati aiutati
dalla Farnesina, dal Psi di Craxi, dal Pci di Berlinguer, un fenomeno unico….
“Nelle ore del golpe l’asilo offerto dall’ambasciata
italiana a Santiago salvò la vita a tanti perseguitati e quella accoglienza è
stata ricordata nella recente visita in Cile del Presidente Mattarella, che è
stato un grande successo. Negli anni successivi una comunità di esuli cileni ha
vissuto in Italia come in una seconda patria e questo grazie al sostegno dei
comunisti, dei socialisti di Craxi, anche della DC e di tutti i democratici.
L’Italia fu molto sensibile anche perché la memoria del fascismo aveva
sedimentato un forte e comune sentimento democratico. Ricordo tanti amici
cileni. Da Antonio Leal, agli Intillimani a Ernesto Ottone che all’epoca era il
vice segretario della gioventù comunista. Quando egli assunse la carica di
presidente della Federazione mondiale della Gioventù democratica, su proposta
italiana, fu il nostro governo che gli fornì il passaporto necessario per
viaggiare nel mondo. Nanni Moretti ha fatto un bel docu-film sul rapporto tra
l’Italia e il Cile nel quale si ricorda anche come la musica andina, che pure
suscitò lo sberleffo di Lucio Dalla, era diventata la colonna sonora della
nostra gioventù. Non c’era ragazzo di sinistra che non conoscesse “El pueblo
unido jamàs sera vencido”. Anche questo conta: non c’è stata soltanto la
riflessione politica, ci fu anche un legame emotivo-sentimentale”.
Lei entrò nel palazzo della Moneda 23 anni
fa, da presidente del Consiglio: come è cambiato questo Paese?
“Nel 2000, il neo-eletto presidente, il socialista Ricardo
Lagos. volle che il primo ospite straniero ospitato alla Moneda fosse il capo
del governo italiano. Alla cerimonia ufficiale di insediamento Lagos fu
accompagnato verso la Moneda da un’enorme folla che portava dei cartelli
bianchi, che alla fine furono svelati: erano i volti di tutti i desaparecidos:
ci mettemmo tutti a piangere. Oggi il Cile ha ritrovato una sua stabilità
democratica, durante la quale si è consumata anche una crisi dei tradizionali
partiti democratici di sinistra che tuttavia hanno contribuito, al secondo
turno, all’elezione dell’attuale presidente Boric, espressione di un movimento
di sinistra più radicale. Le manifestazioni di Santiago saranno concluse dai
discorsi del Presidente e di Isabel Allende e poi dalla firma di tutti gli
ospiti ufficiali di un Manifesto in difesa della democrazia e della promozione
dei diritti umani”.
Gli Stati Uniti giocarono un ruolo pesante
nel golpe: allora, ma anche oggi, tutti gli imperialismi restano un male
assoluto?
“Probabilmente senza l’appoggio americano, il golpe
non si sarebbe consumato. Per gli Usa prevaleva la logica della guerra fredda,
della sovranità limitata: a “casa” propria ognuno fa quel che crede. Non a caso Kissinger, col suo iper-realismo,
giustificò il Cile ma anche l’invasione sovietica in Cecoslovacchia, che invece
noi dei Pci condannammo perché avevamo una strategia contro quella logica dei
blocchi. Ad un certo punto il dramma di Moro e di Berlinguer fu quello di
condividere una strategia invisa ad entrambe le superpotenze. Santiago fu
speculare a Praga: la logica dei blocchi, allora come oggi, tende a schiacciare
le autonomie nazionali”.
A proposito di doppi standard tra alleati:
ma non fu proprio lei nel 2000 a scrivere una lettera formale a Clinton, Chirac
e Gheddafi per chiedere informazioni sulla vicenda di Ustica? Che risposta
ebbe?
Si fui io, dopo l’esame della sentenza ordinanza del
giudice priore che sentii il dovere di agire come governo per sostenere la
magistratura nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità. La risposta,
molto deludente, la ricevette Giuliano Amato che fu presidente dopo di me.
Questo lo spinse a tornare alla carica. Capisco che ancora oggi egli avverta il
peso di quella verità non disvelata e speri che, dopo tanto tempo, si faccia
chiarezza.