Vale a dire?
L'idea che la lotta per affermare gli ideali socialisti, gli ideali di
progresso, deve saldarsi alla difesa e allo sviluppo della democrazia, in un
continente nel quale si riaffacciano spinte populiste, autoritarie. Penso a
Bolsonaro, ma non c'è solo lui. Anche in Cile la celebrazione è stata divisiva.
Una parte della destra l'ha contestata, con un atteggiamento quasi nostalgico
delle ragioni del golpe. È un continente nel quale c'è sicuramente una forte
spinta progressista oggi, che investe molti dei maggiori Paesi, ma è una spinta
che è molto contrastata da una destra particolarmente aggressiva, permeata da
sentimenti non democratici. Questo patto dei progressisti latinoamericani per
la democrazia è una cosa molto importante ed è stata, a mio avviso, la parte
più significativa, sul piano politico, di questa celebrazione. La memoria del
golpe non è qualcosa che appartiene soltanto al Cile o a progressisti
internazionalisti in vario parti del mondo, ma è un patrimonio comune. D'altro
canto, diversi Paesi latinoamericani hanno vissuto in forme diverse tragedie
analoghe. Questo spettro della violenza antidemocratica è qualcosa che grava su
tutta la storia latinoamericana. L'altra notazione che vorrei fare è questa: ho
avuto modo di conversare con tante persone della situazione internazionale,
dell'Europa.
Con quali riscontri?
C'è una manifesta delusione verso l'Europa. Non si capisce perché l'Europa
non sia in grado di assumere una iniziativa di pace per l'Ucraina. Questo è un
mondo che non è che abbia simpatia per Putin, Anzi, non ha nessuna simpatia per
il Presidente russo. Ma rifiuta l'idea di una nuova Guerra fredda, di un
allineamento agli Stati Uniti nel nome della democrazia. Fra l'altro, l'assenza
degli Stati Uniti all'evento di Santiago del Cile, secondo me è stato un fatto
pesante. Biden ha perso un'occasione. Poteva inviare un messaggio, come hanno
fatto tanti altri leader del mondo. Poteva essere un'occasione per gli Stati
Uniti, per fare in qualche modo ammenda delle loro responsabilità. In questa
parte del mondo, l'idea di fare fronte comune con l'Occidente nel nome della
democrazia contro le autocrazie, è un'idea che non passa.
Perché?
Intanto perché hanno sperimentato sulla loro pelle che l'Occidente non è poi
cosi coerente in materia di difesa dei principi democratici e dei diritti
umani. Ha dei doppi standard, degli scartamenti incredibili da questo punto di
vista. E poi perché sanno qual è la logica della Guerra fredda, che anch'essa
hanno vissuto sulla loro pelle, quella che ha giustificato la repressione in
tutta l'America Latina. nel nome della lotta anti comunista. L'idea che il
mondo possa tomare verso uno scenario di quel tipo, è una idea che viene
rigettata. Lo ha affermato molto chiaramente Michelle Bachelet, già presidente
del Cile, che ha ricoperto ruoli importanti negli organismi internazionali.
Ormai sta crescendo un grandissimo movimento di non allineati. Paesi che non hanno
certamente simpatia per la politica nazionalista, aggressiva della Russia, ma
che dall'altra parte rifiutano l'idea di un allineamento all'Occidente. Sono
Paesi che rivendicano la propria libertà di movimento. Vogliono un mondo
multipolare. Rifiutano un ordine mondiale che sia centrato sull'Occidente. Lo
percepiscono come qualcosa che appartiene al passato, anche dal punto di vista
della forza economica. È un mondo che guarderebbe all'Europa, se l'Europa fosse
in grado di essere un po' più unita nel delineare una propria posizione, non
dico antiamericana ma più indipendente, più attenta alla pluralità del mondo.
In fondo, queste indicazioni non sono molto diverse da quelle che si hanno
all'indomani di quella grande operazione che è stata l'allargamento dei Brics.
C'è da riflettere su questo. Nel momento in cui l'appello americano a isolare
le autocrazie è lanciato, riceve come risposta il fatto che un sistema
internazionale in cui ci sono la Russia e la Cina, si allarga ad un gruppo
molto consistente di Paesi, tra i quali diversi alleati tradizionali degli
Stati Uniti. È difficile immaginare uno smacco maggiore, una dimostrazione più
evidente che questo schema non funziona. Che non è più in grado d'interpretare
il mondo e non viene accettato da gran parte dell'umanità. E questo è molto
evidente nel "cortile di casa" degli Stati Uniti. A partire dal
Messico, dal Brasile... Questo richiamo alla solidarietà occidentale non è
raccolto.
Un patto dei
progressisti che sembra però non essere recepito come dovrebbe dai progressisti
europei.
Intanto, ad un patto dei progressisti per la democrazia, non credo che ci
sia qualche progressista europeo che si dica contrario. È interessante anche
come approdo della sinistra latinoamericana. Una sinistra che è stata anche
percorsa dal mito della guerriglia. Pensiamo all'esito "caudillista"
della rivoluzione sandinista. Tutto questo non c'è. È stato rigettato. La
sinistra dell'America Latina, quella che vince, quella che governa nella
maggioranza dei Paesi, in quelli più importanti, è una sinistra saldamente
democratica. E questo è un fatto molto importante. E rivendica, dell'esperienza
di Allende, proprio il nesso tra socialismo e democrazia. Che poi fu la cosa
che affascinò anche noi, la ragione per cui noi percepimmo la sconfitta di
Allende come qualcosa che ci toccava molto da vicino, che toccava anche il
senso del realismo della nostra politica. Questa è una cosa molto importante
per l'America Latina. Che poi l'Europa non sia in grado di porsi come
interlocutore di questa America Latina, questo è un grande problema politico
per l'Europa. Perché dal punto di vista dei valori, della civiltà, è chiaro che
qui si guarda all'Europa. Ma l'Europa è un po' come una "supernova",
si vede la luce ma quando ti avvicini non c'è più. Non c'è un'azione politica
coerente.
In una nostra
precedente conversazione, nel giorno del ritorno in edicola de l'Unità, avera fatto riferimento alla forte
capacità attrattiva dei Brics. Il mondo latinoamericano guarda in quella
direzione?
Quel riferimento si è rivelato facilmente profetico. Diciamo che quel mondo
quantomeno rifiuta lo schema della non cooperazione. Con la Cina, per esempio,
coopera. Poi cooperano anche con gli americani, sono diversi dai cinesi, loro
hanno la democrazia. Pero rifiutano l'idea di una nuova Guerra fredda. Quindi
sono disponibili a tutte le forme di cooperazione. D'altro canto, Brasile e
Argentina fanno già parte dei Brics, ed è qualcosa che certamente interessa
anche altri Paesi dell'America Latina. Paesi che hanno rapporti commerciali
liberi, che rifiutano l'idea della guerra commerciale contro la Cina, Sono
Paesi che in gran parte mantengono rapporti con la Russia, non perché
sostengono l'invasione dell'Ucraina, ma perché non condividono il modo in cui
l'Occidente reagisce ad essa. Da questo punto di vista, sono Paesi che sfuggono
all'orbita, alla disciplina occidentali, D'altro canto, alla disciplina del
mondo occidentale ormai sfugge la grandissima parte dell'umanità. Bisognerebbe
prenderne atto.
Dal Cile al Brasile,
ultima tappa del suo viaggio in America Latina. Un Paese, il Brasile, che lei
ha sempre avuto molto vicino, a cominciare dal suo Presidente, Luis Inácio Lula
da Silva. Lei che lo conosce da molto tempo, e che gli è amico, come è cambiato
in questi anni Lula?
Il Lala che torna al governo del Brasile dopo l'esperienza durissima del
carcere, dell'aggressione personale che ha subito, è un leader che ha uno
spessore internazionale molto significativo. Che però non ha dismesso la forza
del suo impegno sociale, dalla quale deriva la sua enorme popolarità. Lula ha
una caratteristica molto importante: è uno dei pochi leader del mondo che è in
grado di mobilitare in senso democratico le masse più povere. Restituire a loro
una speranza di riscatto ed emancipazione, di migliorare la propria vita, di
lottare contro la fame, l'emarginazione, la miseria. Lula rimane questo e in
più c'è la statura di un leader internazionale che ora sarà ancor più messa
alla prova. Dopo il vertice di New Delhi, è iniziato l'anno della presidenza
brasiliana del G20, in una fase cosi delicata e difficile delle relazioni
internazionali. Ho visto recentemente Lula quando e stato a Roma. abbiamo
conversato a lungo. In questi due giorni incontrerò il suo consigliere di
politica estera, Celso Amorim, di cui sono amico. Ho rapporti con loro molto
antichi e questo è un retaggio della storia della sinistra italiana. Lula l'ho
conosciuto agli inizi degli anni 90, oltre trent'anni fa. Lui è molto legato
alla sinistra italiana, in particolare quella di matrice cattolica. Lula è
stato anzitutto un sindacalista cattolico, non è mai stato un marxista, un
comunista. Una esperienza, unita a una grande capacita di ascolto, che l'ha
portato alla guida del Partido dos Trabalhadores, che ha unito diverse anime
della sinistra brasiliana, Un grande partito nuovo. Quando è venuto a Roma per
incontrare papa Francesco, l'ho trovato molto energico, molto tonico,
invidiabile per un uomo della sua età, che è persino un pochino maggiore della
mia. À proposito di presidenti. L'altro che mi ha profondamente colpito è il
presidente del Cile, Gabriel Boric, che mi ha invitato alla commemorazione. Ha
37 anni, ed è uno che dice "allora io non c'ero", essendo nato nel
1986. Non è una persona che ha vissuto quella tragedia. Non è la Bachelet che
ha visto il padre assassinato, lei è stata in carcere, torturata. È uno che è
nato dopo, ma che sente il dovere di recuperare una memoria storica, il valore
di queste radici. E questo è molto interessante.
Anche nel
rinnovamento, in quella parte del mondo si ritiene che la memoria storica sia
un patrimonio e non un orpello da cui liberarci.
Esatto, che la memoria sia un patrimonio. La piena consapevolezza di quello
che c'è stato consente di dire quello che è poi stato lo slogan di questa
Giornata della memoria: "Nunca mas". "Mai più". È stata la
parola d'ordine che risuonava davanti al Palacio de La Moneda.
Perché tutto questo
sembra avere così poco spazio, politico e mediatico, in Italia?
Non mi trascinerà in una polemica sulla levatura del nostro sistema
d'informazione, d'altro canto la mia posizione è ben nota. Dico solo che la
perdita di memoria storica, soprattutto per vicende come il golpe in Cile che
hanno segnato la storia non solo di quel Paese c dell'America Latina, è cosa
grave. La solidarietà verso chi lotta per la libertà e la democrazia pagandone
il prezzo più alto, dovrebbe essere un aspetto della memoria che andrebbe
recuperalo almeno dalle forze di ispirazione progressista. Non è stata una
tradizione soltanto della sinistra, solo della sinistra in cui ho vissuto io. È
stato un modo di essere della democrazia italiana. E di questo ci sono ancora
riconoscenti. Lì la memoria funziona ancora. Si ricordano che nelle ore
successive al golpe la nostra ambasciata a Santiago dette asilo a centinaia di
donne e uomini che altrimenti sarebbero stati perseguitati e probabilmente
uccisi, Questa gratitudine è stata manifestata con calore e commozione al
presidente Mattarella, nella sua recente visita in Cile, che è stata un grande
successo. Ma neanche questa visita mi pare abbia avuto vasta eco sui nostri
mezzi d'informazione.
Abbiamo parlato di
politica, di memoria. Nel suo viaggio, presidente D'Alema, ha avuto modo
d'interloquire anche con intellettuali latinoamericani, cosa l'ha colpita di
più di questa dimensione?
È un mondo intellettuale che riflette queste visioni politiche, impegnato ed
esigente da chi ha responsabilità di governo. Un mondo che guarda al futuro. Mi
lasci aggiungere a conclusione che il problema grande per noi, per noi come
Occidente, come sinistra europea, è come stare in un mondo che cambia. Perché
il mondo è cambiato. Ho visto il report di Goldman Sachs che descrive
l'economia nel mondo da qui a cinquant'anni. Prevedono gli Stati Uniti terzi,
dopo la Cina e l'India. Nell'elenco delle prime dieci economie nel mondo, in
fondo c'è la Germania. Prima ci sono la Nigeria, l'Egitto, il Brasile,
l'Indonesia... Questo è il mondo. Come si sta dentro questa
trasformazione? Semplicemente rinchiudendosi dentro la fortezza, peraltro
sempre più incrinata, dell'Occidente? Oppure si cerca d'interpretare un
cambiamento che va inesorabilmente verso il multilateralismo? Il mondo non sarà
più dominato da noi. Dobbiamo cercare di abituarci a questo e immaginare quale
contributo la cultura, la civiltà europea possano dare alla costruzione di un
nuovo ordine mondiale. Questo non mi pare che ci sia come approccio da parte
della classe dirigente europea.