Intervista
17 gennaio 2025

D’Alema, Pisa, il Pci-scuola: un partito aperto, puntava sui giovani

Intervista di Mario Lancisi, Il Corriere Fiorentino


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In via Fratti a Pisa, in quell’ex sede del Pci in vendita e che
nessuno vuole, è iniziato il percorso politico di tanti. Su tutti quello
di Massimo D’Alema, che oggi racconta il suo ’68 pisano, gli incontri,
l’assalto alla Bussola. «Era un Pci aperto alle nuove generazioni,
un’epoca in cui i giovani venivano messi alla prova molto presto». E su
Renzi e il Pd dice: «Deciderà Schlein, ma va costruito un centrosinistra
che non sia condizionato dai rancori».


D’Alema, quando è arrivato a Pisa?


“Arrivai nel novembre del
1967. Dopo aver preso la stanza alla Normale e riconosciuto Fabio Mussi
sulle scale, andai a cercare la federazione giovanile comunista, alla
quale ero iscritto. Allora si trovava in via San Lorenzo, accanto a
piazza Santa Caterina. Appena arrivato trovai affisso un cartello in cui
c’era scritto: la federazione del Pci  si è trasferita in via Fratti.
Si può dire che sono coevo di via Fratti, inaugurata agli inizi del
1968. Una sede imponente e di pregio architettonico, costruita da due
professionisti di valore come l’architetto Roberto Mariani e l’ingegnere
Francesco Tomassi”.


E lì, in via Fratti, inizia la sua attività politica a Pisa.


“Sì, sono diventato funzionario  a metà
tempo del partito e alle elezioni comunali del 1970 fui eletto
consigliere e poi capogruppo del Pci. Avevo 21 anni. Si creò
l’opportunità di fare una giunta, guidata dal Dc Elia Lazzari, tra il
Pci, il Psi e una parte della Dc. Una bella vicenda in qualche misura
anticipatrice della stagione del compromesso storico”.


Lei aveva solo 21 anni, ma anche altri dirigenti del Partito comunista italiano erano molto giovani.


“Merito dell’allora segretario Giuseppe De
Felice, soprannominato Giusì, un dirigente di grande valore, un uomo
estremamente intelligente ed esperto, che volle un Pci aperto alle nuove
generazioni. Era un’epoca in cui venivamo messi alla prova molto
presto”.


In una città, Pisa, in cui sbocciò il ’68. Lei conobbe Adriano Sofri?


“Certo che l’ho conosciuto, come gli altri
massimi esponenti della sinistra cosiddetta extraparlamentare. Furono
anni difficili, complicati ma grazie a De Felice il partito tenne la
barra dritta del dialogo con i movimenti”.


Lei partecipò, il 31 dicembre del 1968, all’assalto della Bussola. Quali furono le reazioni nel partito?


“In molti criticarono la nostra
partecipazione. Ricordo che al congresso del Pci fu approvata una
mozione di disapprovazione dell’assalto alla Bussola, sostenendo che si
trattava di forme di lotta estranee alla tradizione del movimento
operaio e del Partito comunista, ma De Felice fu così aperto e
intelligente da non perdere il contatto e il dialogo con questo mondo.


L’ex sindaco di Pisa Paolo
Fontanelli ha ricordato in un articolo che per lui , autodidatta , il
Pci rappresentò anche una scuola.


“Ha ragione. Il rapporto con il partito era
intenso ed educativo. Noi studenti più acculturati, che magari
frequentavamo la Normale, venimmo incaricati dal partito di insegnare ai
giovani meno istruiti. E, si badi bene, non si insegnava tanto Marx
quanto l’italiano, le materie insomma scolastiche con lo scopo di
colmare il divario culturale. L’obiettivo era  quello di creare una
classe dirigente a cui potessero accedere anche i figli dei ceti
popolari”.


Lei poi nel 1975 diventa segretario
nazionale della Fgci e lascia Pisa ma il suo rapporto umano e politico
con la Toscana rimane molto forte. Rispetto all’altra grande “regione
rossa”, l’Emilia Romagna, qual è la principale differenza?


Direi che l’Emilia
Romagna è più solida e la Toscana più creativa. E anche più litigiosa.
Una litigiosità che è il retaggio storico di una regione marcata dai
Comuni. Ricordo bene nei miei trascorsi pisani i vivaci contrasti e le
vere e proprie contrapposizioni tra Pisa e Firenze. A Colle Val d’Elsa,
che nelle vecchie circoscrizioni elettorali del Senato era divisa tra
Firenze e Pisa, le due federazioni si dividevano anche i comizi, anzi si
teneva proprio una gara oratoria tra chi fossero più bravi, i pisani o i
fiorentini”.


Con chi ha avuto i migliori rapporti?


“Direi con tutti i maggiori esponenti. Con
Paolo Fontanelli è stato forse un rapporto più intenso. E non dimentico
il fatto che è stato presente anche nei momenti meno felici della mia
carriera politica. Si sa, quando uno è all’apice tutti sono amici, ma
quando è meno forte gli amici tendono ad andarsene”.


La Toscana a lei più vicina è stata
poi in qualche modo soppiantata dall’avvento di Matteo Renzi. Il Pd
deve riannodare o no i rapporti con Renzi?


Lo dovrà decidere la
Schlein, io non mi occupo di queste questioni. Penso che, al di là di
Renzi, il problema del centrosinistra sia quello di costruire una
coalizione, che non sia condizionata da rancori”.

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